lettere di Celeste e di Anna Maria Habermann
Pubblichiamo qui due lettere scritte in riferimento all’incontro avvenuto a febbraio tra la dottoressa Habermann e i detenuti del sesto secondo, per la presentazione del libro Il labirinto di carta edito da Proedi. La prima lettera di Celeste (un detenuto del sesto reparto) dà la misura del senso di fratellanza e di amicizia che si crea in questo ristretto forum di non letterati, composto da persone pronte a recepire, per farne materia di dibattito, le opere che proponiamo. L’amicizia non disconosce le differenze tra le condizioni e i ruoli, ma costituisce la prova della possibilità di aprire un dialogo tra individui, soggetti in vario modo, ai colpi della fortuna e, pertanto, tutti indistintamente vulnerabili. E’ a partire dalla considerazione della comune fragilità che possiamo guardare veramente l’altro e ritrovare la forza per rispondere alle sfide piccole o grandi che il vivere stesso ci impone. Anna Maria Habermann è uno degli esempi di come la fragilità possa trasformarsi in forza attiva e impegno nell’opera di cambiamento e di ricostruzione della nostra umanità violata. La lettera di risposta che ci ha gentilmente concesso di pubblicare è un’ulteriore riprova del sentimento di comprensione che trae insegnamento dal monito, da lei ricordato, del cantautore statunitense Phil Ochs: “Mostrami un uomo la cui vita si sia incrinata e io ti mostrerò mille ragioni per cui è solo un caso se al posto suo non ci sei tu”.
LETTERA DI CELESTE
Buongiorno Dottoressa Hàbermann,
innanzitutto la ringrazio per essere qui tra noi. Grazie per l’emozione che ci ha fatto provare e per l’emozione che ci ha trasmesso con il suo libro. Non Le nego che ho dovuto riprendere il libro più volte per potere capire fino in fondo il Drammatico Messaggio che mi trasmetteva. Ho trovato e capito tra le righe un pezzo di storia a me sconosciuto. Apprezzo molto il suo modo di descriversi e di descrivere le sue emozioni e sensazioni che posso capire e, non è cosa da poco, il forte senso di appartenenza alla propria Famiglia e una molla inarrestabile in lei.
Seppure con molti ostacoli, in primis la lingua, è riuscita con molta sofferenza a continuare la sua ricerca. Da un retro di una cassaforte è emerso un mondo a lei negato in passato. A volte i nostri cari ci celano cose dolorose per non farci soffrire, ma non capiscono che ci rendono quasi degli estranei ai loro occhi. Ma, fortunatamente, prevale in tutto l’Amore e il Perdono per ciò che è stato.
Grazie Dottoressa.
Celeste
LETTERA DI ANNA MARIA HABERMANN
Caro Celeste,
come sempre sono in ritardo nel rispondere e mi scuso per questo.
Per prima cosa vorrei ringraziarla per la sua lettera inattesa che mi ha accolto come un abbraccio, anche a nome di chi ancora non mi conosceva (ma aveva letto i miei pensieri…). Ogni volta che vengo in carcere a parlare ne esco arricchita, sia dal punto di vista umano che intellettuale, grazie alle domande che mi vengono rivolte e alle riflessioni suscitate dal confronto reciproco.
Pur non essendo la prima volta che vi incontro, l’esperienza è sempre molto forte e, - come è sempre accaduto – ritengo di avere imparato molto di più io dalla vostra presenza che voi dalla mia – non è facile spiegare ciò che penso. Forse la lettera e la condivisione della riflessione sul tema, ovvero la meditazione che porta inevitabilmente all’introspezione, fa emergere la parte migliore di tutti noi, quasi come se rendesse trasparenti quelle pareti e annullasse quelle porte blindate – che non sono quelle fisiche del luogo dove ci si incontra, ma quelle che ognuno di noi costruisce intorno al proprio io. Ho ascoltato i vostri pensieri e le vostre osservazioni che hanno espresso l’inesprimibile, ho riflettuto sul senso della condanna che ognuno di noi porta chiusa nel proprio cuore: dramma, destino, fatalità.
Davanti ai miei occhi risplende – a mo’ di monito – la frase di Phil Ochs che dice più o meno così: “Mostrami un uomo la cui vita si sia incrinata e io ti mostrerò mille ragioni per cui è solo una caso se al posto suo non ci sei tu!”
Grazie di avermi letto e ascoltato.
Anna Maria Habermann
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