Riflessioni sul nostro sistema giudiziario
di Luca
Riflessioni di un ex detenuto che ha espresso il desiderio di poterle condividere anonimamente attraverso il Blog Liberante.net.
Si potrebbe cominciare così…
Si potrebbe incominciare da qui, dal comprendere il sistema giudiziario esistente e, ove sia possibile, modificandone le vedute, migliorandolo per un’equità sociale e un rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, per potere infine immaginare l’esistenza di pene alternative al carcere.
La concezione secondo la quale chi trasgredisce deve essere sottoposto a una pena, e cioè deve soffrire, si basa certamente sulla teoria del premio e del castigo, dove la conseguenza della violazione della regola non può essere che il castigo.
D’altra parte l’idea retribuzionista della pena è fondata, a sua volta, sull’idea che sia giusta l’esclusione.
Si può retribuire il male con il male solo se si ritiene che l’espulsione sia umanamente non solo ammissibile, ma anche positiva in concorrenza del verificarsi di certe condizioni. Al di là delle parole, il modello funziona così: poiché hai rotto la relazione con me (comunità, società) rompo la relazione con te, individuo. E quanto più grave è stata la rottura, tanto più grave deve essere la frattura da parte mia (comunità, società). Se la rottura è consistita a esempio nell’eliminazione della fisicità altrui, anche la tua fisicità deve essere eliminata (e quindi, la pena deve essere la morte, anche figurativa, come la prigione a vita).
Ora, questa concezione può essere in sintonia con una visione strumentale dell’uomo, proprio perché come uno strumento può essere escluso, allontanato o eliminato, quando non serve più o infastidisce.
Sicuramente è in contrasto con i principi universali dei diritti umani, secondo i quali l’essere umano non è strumento, ma è/ha dignità. L’essere umano è degno perché è tale, non per quello che fa…
Poniamo un altro esempio: quando si arresta una persona succede che la si sottrae ai suoi familiari, alla moglie e soprattutto ai figli. Quale responsabilità ha un figlio per subire la sofferenza della privazione del proprio padre? Nemmeno in una logica retributiva si potrebbe concepire la sottrazione dei diritti fondamentali ai terzi, in questo caso ai figli. Non si può nemmeno rispondere asserendo che il padre avrebbe dovuto pensarci prima, perché l’obiezione non riguarderebbe il figlio, ma il padre. Né si può rispondere che sia giusto così perché sarebbe di cattivo esempio al figlio. L’osservazione prova troppo che se fosse così il figlio dovrebbe essere escluso definitivamente dai contatti con il padre e pertanto non dovrebbe essere consentite nemmeno le ore di colloquio. Il carcere, quindi, non solo non rispetta la dignità di chi lo subisce, ma anche la dignità e i diritti dei terzi estranei alla trasgressione.
Lo sviluppo del concetto di dignità porta al suo seguito quello di libertà: se le persone sono apprezzabili in quanto tali non possono essere sottomesse, ma deve essere loro riconosciuta la libertà ( perché la sottomissione ha senso solo se le persone sono incapaci e devono essere dirette da altri)
Ma se la libertà è attributo della dignità, non può essere limitata salvo un solo caso: quando serve a consentire la libertà altrui. Con tali osservazioni è coerente che le regole pongano obblighi o divieti per tutelare la libertà altrui, ma è incoerente la conseguenza retributiva della violazione. E’ conforme al modello “non uccidere”, ma non è conforme far seguire “altrimenti ti uccido”, perché è questa seconda parte a non essere in linea con dignità e tutela della libertà. Ciò, anche sotto il profilo educativo, perché fare male non può che insegnare a fare male: non si può insegnare a non uccidere, uccidendo; a non privare gli altri della libertà, togliendola. La sofferenza imposta insegna solo a obbedire. Ma chi obbedisce non è psicologicamente, se non giuridicamente, responsabile delle proprie azioni (ne è responsabile chi impartisce l’ordine).
La pena, quindi, anziché creare responsabilità, la distrugge. Queste riflessioni dovrebbero essere colte per riportare il sistema nella sfera della legalità, per non oltrepassarla e, soprattutto, per porsi nella condizione di insegnarla e di educare, permettendo in tal modo di giudicare chi trasgredisce.
* Il nome dell'autore è di fantasia.
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