Brevi note sulla mediazione dei conflitti
di Azalen Tomaselli
Mi sono avvicinata alla mediazione per caso. Carl Gustav Jung parla di sincronicità, alludendo alle significative coincidenze che traggono origine dagli archetipi dell’inconscio collettivo e a quei fatti e a quei fenomeni che non si spiegano con la causalità che proprio per questo acquistano un senso profondo. Lo spirito vive di fini, sosteneva, confutando il casualismo di Freud. Non si possono pertanto capire la psiche e i suoi indecifrabili sentieri con una logica.. scientifica! Non so perché mi venga in mente questa disputa che poi avrebbe portato alla frattura tra Jung e Freud. Ma anch’io ritengo che le vite umane siano regolate dalla acausalità e che certi accadimenti siano necessari in un senso altro, rispetto alla oggettiva relazione di causa effetto. Data questa premessa, spero di generare altre curiose connessioni proponendo un tema non molto conosciuto, quello della mediazione penale. L’incontro con la mediazione è stato, come ho detto, occasionale e per queste ragioni più significativo, oggi riveste per me un grande interesse. Cercherò con queste brevi note di esprimere un mio punto di vista che possa stimolare a approfondire l’argomento, soprattutto, chi sia vittima di qualche fatto che ha procurato sofferenza, disagio, domande che sono rimaste senza risposta. Quando ci accade qualcosa di spiacevole o di drammatico la domanda che risuona dentro di noi come un mantra è: perché proprio a me?
Il bisogno di ottenere una risposta si appropria tirannicamente dei nostri pensieri e ci impedisce di archiviare l’esperienza dolorosa.
Che cos’è la mediazione? La mediazione è innanzitutto una pratica colloquiale, dialogica che intende riaprire la comunicazione bloccata (o mai esistita) tra chi ha recato un’ offesa e chi l’ha subita, grazie a un terzo, imparziale e equiprossimo. Questo neologismo (equiprossimo) significa che occorre una uguale vicinanza a entrambi i confliggenti da parte di chi si adopera per avviare in loro un processo di responsabilizzazione e riconoscimento di quanto accaduto.
In campo penale essa si applica a tutti i reati commessi all’interno della famiglia, della scuola, del gruppo dei pari, del quartiere, nell’ambito dei rapporti di vicinato, reati che mettono in luce situazioni di conflitto tra persone che si conoscono. Può applicarsi anche a reati con forte impatto emotivo sulla vittima e sul reo che hanno leso la vita, l’integrità fisica, la libertà sessuale, l’onore, la reputazione o reati con forte valenza simbolica come il furto d’appartamento, o, infine, reati che offendono la dignità della vittima, come i reati con l’aggravante razziale.
La sua nascita risale a alcuni importanti atti ufficiali che hanno sancito la possibilità di ricorrere a un paradigma riparativo in tema di giustizia: essi sono (tra gli altri) i documenti preparatori del Decimo congresso internazionale del Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e sul Trattamento dei Rei che ha portato alla Dichiarazione di Vienna.Tra le modalità riparative la Victim–Offender Mediation (VOM) è appunto un processo informale che mette insieme l’autore e la vittima di un reato in presenza di un mediatore per parlare del fatto (dell’offesa), degli effetti che ha provocato nella vita di entrambi e della possibile –se la mediazione ha successo- riconciliazione o riparazione.
La giustizia riparativa si caratterizza per la sua duttilità e per lo sforzo di prendere in considerazione l’intensità del conflitto e di creare strumenti utili per disincentivarlo e per sostituire all’ottica risarcitoria, basata sulla monetizzazione del danno, una visione attenta agli aspetti relazionali e alla riparazione - non tanto materiale quanto simbolica - dell’offesa. Come è intuitivo non può sostituirsi alla giustizia penale e neppure superare la necessità di ricorrere alla pena, ma è un modello di intervento che può essere prezioso in quei casi dove è necessario dare voce alla vittima e riconoscimento alla sua dignità ferita.
Allo stesso modo essa è necessaria anche all’autore del reato, perché, attraverso l’incontro con la vittima e la conoscenza degli effetti del suo atto, può giungere a una presa di responsabilità e a una reintegrazione della propria identità. Questa pratica colma il vuoto lasciato dal sistema di Giustizia, basato sulla erogazione della pena e su un concetto di norma rinforzato da sanzioni, per proporre un diverso modello di società.
Che cos’è la mediazione? La mediazione è innanzitutto una pratica colloquiale, dialogica che intende riaprire la comunicazione bloccata (o mai esistita) tra chi ha recato un’ offesa e chi l’ha subita, grazie a un terzo, imparziale e equiprossimo. Questo neologismo (equiprossimo) significa che occorre una uguale vicinanza a entrambi i confliggenti da parte di chi si adopera per avviare in loro un processo di responsabilizzazione e riconoscimento di quanto accaduto.
In campo penale essa si applica a tutti i reati commessi all’interno della famiglia, della scuola, del gruppo dei pari, del quartiere, nell’ambito dei rapporti di vicinato, reati che mettono in luce situazioni di conflitto tra persone che si conoscono. Può applicarsi anche a reati con forte impatto emotivo sulla vittima e sul reo che hanno leso la vita, l’integrità fisica, la libertà sessuale, l’onore, la reputazione o reati con forte valenza simbolica come il furto d’appartamento, o, infine, reati che offendono la dignità della vittima, come i reati con l’aggravante razziale.
La sua nascita risale a alcuni importanti atti ufficiali che hanno sancito la possibilità di ricorrere a un paradigma riparativo in tema di giustizia: essi sono (tra gli altri) i documenti preparatori del Decimo congresso internazionale del Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e sul Trattamento dei Rei che ha portato alla Dichiarazione di Vienna.Tra le modalità riparative la Victim–Offender Mediation (VOM) è appunto un processo informale che mette insieme l’autore e la vittima di un reato in presenza di un mediatore per parlare del fatto (dell’offesa), degli effetti che ha provocato nella vita di entrambi e della possibile –se la mediazione ha successo- riconciliazione o riparazione.
La giustizia riparativa si caratterizza per la sua duttilità e per lo sforzo di prendere in considerazione l’intensità del conflitto e di creare strumenti utili per disincentivarlo e per sostituire all’ottica risarcitoria, basata sulla monetizzazione del danno, una visione attenta agli aspetti relazionali e alla riparazione - non tanto materiale quanto simbolica - dell’offesa. Come è intuitivo non può sostituirsi alla giustizia penale e neppure superare la necessità di ricorrere alla pena, ma è un modello di intervento che può essere prezioso in quei casi dove è necessario dare voce alla vittima e riconoscimento alla sua dignità ferita.
Allo stesso modo essa è necessaria anche all’autore del reato, perché, attraverso l’incontro con la vittima e la conoscenza degli effetti del suo atto, può giungere a una presa di responsabilità e a una reintegrazione della propria identità. Questa pratica colma il vuoto lasciato dal sistema di Giustizia, basato sulla erogazione della pena e su un concetto di norma rinforzato da sanzioni, per proporre un diverso modello di società.
La parola mediare allude a ciò che sta in mezzo, il mediatore è, appunto, quella figura terza che occupa una terra di mezzo nel territorio del conflitto, non sta né da una parte né dall’altra, ma con l’una e con l’altra. Non essendo investito di alcuna autorità, si adopera a aiutare i medianti a scoprire il motore del conflitto, a esprimere le emozioni e a trovare una risoluzione e delle riparazioni per il fatto reato.
Quando un comportamento ha leso un diritto, ha aperto una ferita nella dignità e nell’autorispetto i sentimenti che ne conseguono di rabbia, paura, desiderio di vendetta, colpa non possono essere cancellati. L’anima si rattrappisce nel rancore, aspetta una parola di scusa che non arriverà mai. Le istituzioni fanno fatica a gestire le emozioni che costellano il reato, spesso la vittima è ignorata perché il fuoco dell’attenzione è tutto assorbito dal fatto reato e dal suo autore, spesso presentato come soggetto difficile, nel caso di giustizia minorile o come un delinquente, nel caso di giustizia penale per adulti. La mediazione vuole leggere il fatto reato non in modo astratto, in termini di pena nel suo significato retributivo–risocializzante, ma come un segmento di complesse vicende relazionali che vanno dipanate e raccontate per arrivare a una autentica assunzione di responsabilità. Solo attraverso la pratica dialogica della mediazione l’autore può riparare e auto riparare, può ricucire la ferita che il reato commesso ha inferto a se stesso, alla vittima e alla società.
Le norme che regolano la mediazione in Italia sono gli artt. 9, 27, 28 del D.P.R. 448/1988 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e l’art. 564 c.p.p. , riformulato nell’art. 555 c.p.p. che oggi assegna al giudice una posizione di terzietà nelle fattispecie delittuose punibili a querela.
Le norme che regolano la mediazione in Italia sono gli artt. 9, 27, 28 del D.P.R. 448/1988 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e l’art. 564 c.p.p. , riformulato nell’art. 555 c.p.p. che oggi assegna al giudice una posizione di terzietà nelle fattispecie delittuose punibili a querela.
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