Incontro del 11 febbraio 2013 Milano Casa circondariale San Vittore.
Scende la neve a larghi fiocchi su Milano. Alle 13 in punto Giorgio entra a San Vittore; le solite procedure, prima di salire al VI raggio secondo. Alle 13.20 Giorgio raggiunge la meta. In attesa di poter accedere alla saletta, dietro le sbarre scorge Antonio e Ivan che lo salutano. Si avvicina e stringe loro la mano; Ivan ha gli occhi rossi, piange, è depresso. Antonio cerca di consolarlo, ma non serve. Ivan ha solo quattro mesi da scontare prima della libertà, tuttavia non sa darsi pace, rifiuta l’aiuto psichiatrico, non assume i farmaci perché teme “l’astinenza” (la dipendenza). Giorgio parla con lui, lo ascolta, il pianto s’arresta quando si avvicina il capoposto; “Non si può sostare davanti alla cella, vicino ai carcerati” dice con tono brusco. Giorgio si allontana, ma fa presente che sono due partecipanti del Libroforum, che fra cinque minuti saranno nuovamente insieme. Il capoposto sostiene che solo in aula è permesso parlare coi detenuti, a debita distanza. Le 13.30, Giorgio entra nella fredda saletta; Iena e Giocadinuovo gli si avvicinano, felici di incontrarlo; cominciano a parlare in attesa che arrivino gli altri. Si fa nuovamente vivo il capoposto: “Non si può stare così vicini a parlare“ brontola.
Giorgio Cesati legge il racconto Di doman non c'è certezza in Carcere.
Giorgio Cesati Cassin con i detenuti.
Giorgio Cesati Cassin con i detenuti.
Si allontanano, continuano a discutere. Bobo, un rumeno, che ha assistito ala ramanzina del poliziotto, commenta che è colpa dell’alta pressione dovuta al brutto tempo e cita l’esperimento del vuoto in due emisferi che non si possono separare per effetto della pressione atmosferica; così succederebbe per il cervello del capoposto. Giorgio afferma che col brutto tempo la pressione è bassa, non alta, ma forse sufficiente ad agire sul vuoto che regna indiscusso nella testa dell’agente. Si ride e si sta tutti un po’ meglio. Giorgio racconta la sua esperienza al carcere femminile della settimana scorsa, dove ha subito insieme alle recluse, un’ora e mezza di logorrea logorante di una “visitatrice”, che alla fine del suo fiume di parole ha detto di “sentirsi meglio”.
Per non cadere nello stesso errore, Giorgio leggerà un racconto e alla fine della lettura inviterà i presenti ad esprimere le loro impressioni. Il racconto è intitolato Di doman non c’è certezza e narra di un ricchissimo vegliardo che raggiunta la pensione non riesce più a dormire la notte e deambula per casa. In ospedale, dopo una serie di biopsie, lo dimettono con una diagnosi incerta. A questo punto, il più che settantenne ricco signore, decide di godersi la vita e spende e spande; in compenso dorme benissimo e non si alza più di notte. Ridotto in miseria, una mattina si risveglia in un ospizio, scende come sempre a far colazione, e trova gli altri vecchietti che gli fanno gli auguri di compleanno: era entrato a novant’anni e ne compiva centodieci.
Iena commenta immediatamente: “Cosa ne direbbe Epicuro?”, richiamando l’attenzione sulla famosa lettera letta da Simone (Vedi resoconto).
Bobo: racconta che sul “binario della vita” un incidente di percorso lo ha fatto riflettere ed ha cambiato modo di vivere, accontentandosi di poco, dando valore alle piccole cose; aveva raggiunto la tranquillità, stava talmente bene che non pensava al futuro, viveva nel futuro, cosicché non si accorgeva del presente, e con la testa tra le nuvole era finito in carcere.
Giorgio gli fa notare che pensare al futuro, fare progetti, è positivo, ma che i piedi devono stare piantati a terra altrimenti succede come nel racconto della volta scorsa, Il gene della vita, in cui un uomo preoccupato solo di quanto gli restava da vivere, nel leggere gli esami del sangue che aveva appena avuto dal laboratorio, attraversando la strada sulle strisce pedonali viene falciato da un’auto pirata.
Giocadinuovo ammette che pure lui viveva in modo astratto.
Antonio guardando come vivevano gli altri, stanco dei soprusi che subiva in famiglia, aveva deciso di partire per il futuro, l’aveva fatto ma aveva sbagliato strada: ora, in carcere, aveva scritto una lettera alla mamma dicendole che le voleva bene ma che non sarebbe più ritornato in famiglia.
Iena aggiunge che ognuno ha una storia, che lui ha sempre vissuto per il futuro, a qualunque costo, che non gli interessavano i mezzi per raggiungere l’obiettivo. Giorgio gli risponde che non sempre il fine giustifica i mezzi, tant’è che è finito a San Vittore. Iena, stranamente depresso, risponde che lì dentro sta vivendo in un limbo, per capire che ruolo ha nella vita.
Antonio sottolinea che è molto meglio parlare con un estraneo che con un fratello, ribadendo le sofferenze patite in famiglia, come a dire che a volte è meglio il carcere.
Ivan 26 anni, due figli in tenera età, compagno di cella di Antonio, ricomincia a piangere e vuole andarsene. Giorgio lo fa sedere vicino, lo abbraccia e lo calma. Lo convince ad assumere i farmaci che possono aiutarlo, senza dargli “l’astinenza”, come lui teme, e che Antonio può aiutarlo moltissimo. Deve pensare che fra quattro mesi avrà scontato la sua pena.
Giocadinuovo fa la voce grossa, chiede a Ivan che cosa dovrebbe fare lui che ha ancora quattro anni da scontare; “Quattro mesi passano in fretta” aggiunge..
Sul tema di come affrontare il presente con gli occhi al futuro si discute ancora molto, l’argomento è pregnante.
Alla fine Iena dice che, contrariamente al solito, quel giorno è depresso. Giocadinuovo lo prende in giro, dicendo che la causa sta nel fatto che dopo aver pulito accuratamente la “turca”, piastrella dopo piastrella, l’hanno cambiato di cella.
Escono, si salutano. Ivan immobile davanti alla sua cella, ricomincia a piangere. Il solito capoposto si avvicina e gli dice di smetterla con quelle sceneggiate napoletane. “Non sono napoletano” protesta debolmente Ivan. “Entra subito in cella” gli ordina l’agente. Ivan ubbidisce a capo chino. Lo raggiunge Antonio. Il capoposto chiude le sbarre.
Iena commenta immediatamente: “Cosa ne direbbe Epicuro?”, richiamando l’attenzione sulla famosa lettera letta da Simone (Vedi resoconto).
Bobo: racconta che sul “binario della vita” un incidente di percorso lo ha fatto riflettere ed ha cambiato modo di vivere, accontentandosi di poco, dando valore alle piccole cose; aveva raggiunto la tranquillità, stava talmente bene che non pensava al futuro, viveva nel futuro, cosicché non si accorgeva del presente, e con la testa tra le nuvole era finito in carcere.
Giorgio gli fa notare che pensare al futuro, fare progetti, è positivo, ma che i piedi devono stare piantati a terra altrimenti succede come nel racconto della volta scorsa, Il gene della vita, in cui un uomo preoccupato solo di quanto gli restava da vivere, nel leggere gli esami del sangue che aveva appena avuto dal laboratorio, attraversando la strada sulle strisce pedonali viene falciato da un’auto pirata.
Giocadinuovo ammette che pure lui viveva in modo astratto.
Antonio guardando come vivevano gli altri, stanco dei soprusi che subiva in famiglia, aveva deciso di partire per il futuro, l’aveva fatto ma aveva sbagliato strada: ora, in carcere, aveva scritto una lettera alla mamma dicendole che le voleva bene ma che non sarebbe più ritornato in famiglia.
Iena aggiunge che ognuno ha una storia, che lui ha sempre vissuto per il futuro, a qualunque costo, che non gli interessavano i mezzi per raggiungere l’obiettivo. Giorgio gli risponde che non sempre il fine giustifica i mezzi, tant’è che è finito a San Vittore. Iena, stranamente depresso, risponde che lì dentro sta vivendo in un limbo, per capire che ruolo ha nella vita.
Antonio sottolinea che è molto meglio parlare con un estraneo che con un fratello, ribadendo le sofferenze patite in famiglia, come a dire che a volte è meglio il carcere.
Ivan 26 anni, due figli in tenera età, compagno di cella di Antonio, ricomincia a piangere e vuole andarsene. Giorgio lo fa sedere vicino, lo abbraccia e lo calma. Lo convince ad assumere i farmaci che possono aiutarlo, senza dargli “l’astinenza”, come lui teme, e che Antonio può aiutarlo moltissimo. Deve pensare che fra quattro mesi avrà scontato la sua pena.
Giocadinuovo fa la voce grossa, chiede a Ivan che cosa dovrebbe fare lui che ha ancora quattro anni da scontare; “Quattro mesi passano in fretta” aggiunge..
Sul tema di come affrontare il presente con gli occhi al futuro si discute ancora molto, l’argomento è pregnante.
Alla fine Iena dice che, contrariamente al solito, quel giorno è depresso. Giocadinuovo lo prende in giro, dicendo che la causa sta nel fatto che dopo aver pulito accuratamente la “turca”, piastrella dopo piastrella, l’hanno cambiato di cella.
Escono, si salutano. Ivan immobile davanti alla sua cella, ricomincia a piangere. Il solito capoposto si avvicina e gli dice di smetterla con quelle sceneggiate napoletane. “Non sono napoletano” protesta debolmente Ivan. “Entra subito in cella” gli ordina l’agente. Ivan ubbidisce a capo chino. Lo raggiunge Antonio. Il capoposto chiude le sbarre.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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