Incontro del 18 marzo 2013 Milano Casa circondariale San Vittore.
I fratelli Cesati raccontano due verità su uno stesso episodio
Azalen Tomaselli, Giorgio Cesati Cassin, Alberto Cesati, Iginia Busisi scaglia e Simon Pietro De Domenico con i detenuti.
Tetti spruzzati di neve in questa giornata di marzo, uggiosa. Azalen e Simone scorgono in lontananza Iginia Busisi a attenderli davanti il bar di via Olivetani, ha una sporta con le poesie in fotocopia e le gazzette sportive. Varcato il pesante portone, quando giungono al sesto trovano i “lavori avviati”. I due fratelli Giorgio Cesati Cassin e Alberto Cesati sono intenti a presentare le loro due versioni di un medesimo episodio d’ infanzia. La lettura canonica del resoconto, interrompe l’amena presentazione di questo ricordo. E’ Giorgio al termine della lettura a leggere da Fumo dagli occhi il capitolo che riporta la storia della morte di Gin, la sua adorata cagnetta. Il racconto risale agli anni della guerra, quando la famiglia Cesati lascia Milano per trasferirsi in campagna. Qui si sviluppa la penosa vicenda. Gin, ritrovata moribonda per avere mangiato il boccone della volpe, (che i contadini lasciavano nei campi per combattere le razzie provocate da questi animali), viene finita con un colpo di pistola. L’accaduto, declinato in due differenti versioni nei testi dei due autori, incuriosisce l’uditorio. E' possibile che lo stesso episodio abbia per i suoi protagonisti due verità diverse?
Nel racconto di Alberto tratto da La figlia del mugnaio e altri racconti è la descrizione del padre ormai anziano, colto mentre insegue il nipotino colpendolo con il fuetto, mentre lui guarda e ripete “Non è uno scherzo” a focalizzare l’attenzione, seguito dall’episodio straziante della morte di Gin. Episodio che allinea in sequenza il tentativo disperato del protagonista (Alberto) di salvare l’animale dandogli da bere il latte che una vecchia contadina portava e lo sparo che abbatte la bestia, mentre lo stesso Alberto volge gli occhi altrove.
Giorgio descrive le fatiche amatorie di Organo, il macellaio, e del suo cane che copula con tutte le cagne. Tratteggia l’intera comunità paesana, con i personaggi sullo sfondo della storia della cagnetta, dal macellaio che oltre a suonare l’organo ingravidava le donne del paese, al padre severo che vibrava il suo fuetto convinto di potere domare anche i leoni, alla cagnetta che scappata per i campi e mangiato il boccone avvelenato aveva incontrato la morte.
La discussione ruota subito attorno a queste versioni dissimili di un medesimo fatto. Giorgio nota che in tutti e due i racconti, ciascun narratore non fa riferimento all’altro, come se non avesse assistito al medesimo fatto. Per Alberto il motivo narrativo è la nostalgia e la paura della morte che accompagna l’uomo fin dall’infanzia e può toccare direttamente aprendo alla dimensione dell’ignoto. Il pensiero della morte associato al decadimento fisico, è reso attraverso l’immagine del padre che rimane con questo scettro del comando (la frusta) anche quando le forze lo abbandonano.
Nelle fantasie di Giorgio è invece l’esuberanza libertina del macellaio a fare da preambolo alla morte della cagnetta, rivelando un pessimismo lucido e irridente. Nel racconto di Alberto la figura del padre è tratteggiata con ammirazione riverente: “un uomo che senza far niente insegnava”. Nel ricordo di Giorgio è l’uomo che usava i metodi educativi duri perché li aveva a sua volta subiti.
Zero osserva: “Non è genetico il fuett, possiamo cambiarlo” intendendo che non è necessario trasmettere lo stesso modello educativo. Iena spostando l’asse del discorso sulla doppia verità, propone ai due autori di scrivere un nuovo racconto, e fa il confronto con la realtà processuale dove i testimoni raccontano versioni dei fatti differenti e il giudice interpreta a modo suo.
Simone chiede ai partecipanti di esporre la loro opinione su questo prospettivismo che articola una realtà mutevole e inconsistente. Zero chiede a Giorgio per quale motivo ha scelto di introdurre la storia del macellaio adescatore. Giorgio risponde che è un cappello e poi sostiene di avere giustificato i metodi educativi di suo padre perché non sapeva fare altrimenti, ma ammette che Alberto ”ha un altro orientamento”. Alberto conferma: “Con poche parole, pochi atti nostro padre ci ha insegnato molte cose”. Anche per Iginia l’educazione che impartiamo ai figli non è uguale per tutti. Non si ha lo stesso atteggiamento educativo, maturando nella maternità e nella paternità si cambia. Alberto ricorda la frase che suo padre ripeteva come un mantra e che lo ha accompagnato nella vita: “Un bravo soldato non piange; tutto si domina come si dominano anche i leoni”. Sono parole importanti perché hanno insegnato l’ordine e sono state un imprinting in molte circostanze ostili. Giorgio che è rimasto in ascolto aggiunge “Quello che si scrive è come una carta assorbente, nessuna parola è a caso”. Questo riconoscimento dell’eredità morale e di saggezza che i morti tramandano suggerisce l’osservazione: "Dove c’è la stupidità c’è la morte e dove c’è l’intelligenza, c’è la sopravvivenza. Ogni giorno ha le sue proprie ansie".
Simone ricorda Pirandello che con la sua teoria delle maschere mette a nudo il relativismo e l’impossibilità di arrivare a una verità valida e irrefutabile per tutti, ognuno vede con i propri occhi le cose. Giorgio a questo punto sfodera il suo scetticismo “La verità è il dubbio, un coacervo di tante verità, è il dubbio che ci può aiutare nella vita”. Poi cita la scuola di Oxford dove insegnava Erasmo da Rotterdam, amico di Tommaso Moro e esorta a ascoltare la controparte perché la verità sorge dalla discussione, dallo stare insieme, dal parlare. Per Iena importante non è parlare, ma ascoltare. “Io posso parlare ma non mi ascolto e gli altri quando dici la tua verità , ti giudicano in base a quello che racconti, la verità in se stessa non può essere giudicata, può essere solo ascoltata”. Zero afferma che dai tempi di Salomone è venuta meno una figura paterna, la fiducia nelle istituzioni. Iginia fa eco: “In Europa abbiamo combattuto guerre spaventose, ma pensiamo di vivere in un mondo ostile, se vai in tram vedi i ragazzi con i grossi zaini colmi di nulla che sbattono a destra e a sinistra senza badare a chi sta attorno. E’ cambiato il sistema di comunicazione, perché c’è un bombardamento, il bombardamento dovuto alla tecnologia”.
MacGyver nota: “In questo contesto carcerario come può essere importante ricevere una lettera, se tarda a arrivare incominci a boccheggiare”. Poi racconta “Mi è venuta a mancare la guida dei miei genitori da giovane, ho cominciato a delinquere molto presto, non voglio chiamarmi la pecora nera della famiglia, ho avuto una scadenza termini nel 2012. I miei genitori abitano in un paesino dell’hinterland, la verità fa male e è da accettare, ho trovato un muro. Mio padre mi ha detto Non ti permettere di rientrare a casa non devi mettere in mezzo il nome e la faccia della famiglia. Non sono stato un figlio che i miei genitori volevano”. Poi parla della scelta difficile di affidare la figlia a estranei, rinunciando a farla crescere nella propria famigliai: “Ho scelto per mia figlia un’opportunità diversa da quella che le era capitata addosso”. Alberto, commosso all’ascolto di questa storia gli dice “Hai fatto il buon soldato”.
A questo punto Azalen chiede a Iginia di leggere Terra Santa. I versi letti con la sua bella voce scandita, rievocano il gesto del Cenacolo. Lo spezzare del pane diventa quotidiano e permette di ritrovare un attimo di pace e di bellezza. La terra santa, dice Iginia, è il luogo dove ognuno vive, con le sue tribolazioni e i miracoli, abbiamo questa cosa immensa che può essere il deserto. Giorgio sottolinea: "Fuori è una comunicazione fittizia, finzionale, senza anima". E Iginia di rimando: "La comunicazione è come una vecchia radio, giri la manopola e trovi la stazione giusta". Alberto elogia gli inglesi e il loro bon ton, deplorando i talk show dove le voci si accavallano in modo confuso. Gli Inglesi ti lasciano finire e poi espongono il loro pensiero.
Poi Iginia legge Pianura: un bozzetto di case allineate lungo i canali, avvolte da nebbie trafitte da voli paragonato al vagare del pensiero nei pomeriggi assolati. Con Guerra, un’altra lirica, è l’appello a un bambino lontano visto alla tv tra stracci e pietre, a ispirare l’autrice. Ninnato da bombe, e non da dolci canzoni la sua immagine è religione. Infine nell’ultima lirica Binario il viaggio su un tram traballante permette alla poetessa di osservare la vita mentre si lascia trasportare tra scossoni e qualche pestata. Alberto che ha ascoltato con attenzione commenta: “C’è l’invidia per il tram che ha i binari e un percorso certo”. Zero critica il pessimismo verso i giovani dai grossi zaini che contengono il nulla del sapere. Iginia replica che c’è un indottrinamento piatto, privo di confronto. Un partecipante accenna alla nuova manovalanza mafiosa. Infine Iginia distribuisce le poesie e scambiati saluti e arrivederci il gruppo si disperde nel corridoio.
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