Giancarlo Pontiggia ascolta la radio che trasmette le canzoni dei detenuti
Un arabesco di fitte nuvole sorvola la
città. Nell’aria un chiarore grigio e monotono richiama le
atmosfere di vecchi film di Renoir. Giancarlo Pontiggia varca con
Azalen il portone di San Vittore per unirsi a Simone già in
matricola. Al sesto, l’aula-cella è impegnata, ma si entra
puntualmente in attesa che giungano i partecipanti. Arrivano solo in
quattro, molti sono malati o all’aria - riferisce con aria da
cospiratore - il bibliotecario. Come di rito, Azalen legge il
resoconto. Al termine, commentandolo, Giancarlo Pontiggia lo
paragona al suono gracchiante della radio che ascoltava di notte,
quando era ancora un ragazzo, e essendo figlio unico, passava molte
ore da solo. In quelle voci che si inanellavano misteriosamente
spiega di avere individuato il primo sintomo di una vocazione
poetica dispiegatasi con il tempo: ”La poesia è nata per me dal
fascino di quelle voci straniere piene di verità, intervallate da
musiche di vario tipo.. di quei mondi di cui non sapremo mai niente,
un immenso di cieli e di terre” che mi hanno suggerito “la
voglia di scrivere e pensare”, precisa.
Giancarlo Pontiggia, Azalen Tomaselli, e Simon Pietro De Domenico con i detenuti.
Zero riferendosi al paragone con la radio commenta: "il resoconto che leggiamo è come una radio che trasmette le nostre canzoni”, ci permette di scoprire qualcosa che non sappiamo . Guido precisa che la radio, con la sua babele di lingue rappresenta “il respiro del mondo” e ci collega con la complessità dei suoi microcosmi. Giancarlo Pontiggia chiarisce però che è un respiro del mondo che arriva senza filtri, lo si accoglie senza pregiudizi, come fanno i bambini che non distinguono tra grande e piccolo.
E’ sempre Guido
a riferire a questo punto di una sua esperienza a conferma della
possibilità di arrivare a percepire cose sconosciute. Ricorda una
città vista dall’alto delle torri, da un osservatorio che faceva
spaziare lo sguardo. Ma Giancarlo Pontiggia, replica che è
l’ascoltare (senza vedere) le voci notturne che arrivano da questa
scatolina a amplificarne il senso, perché “non si ha il limite
dello sguardo”. Nell’Infinito di Leopardi, soggiunge, accade la
stessa cosa: proprio la presenza della siepe, ostruendo la vista
della vallata, permette al poeta di oltrepassare i confini dello
spazio e del tempo.
Zero, riguardo alla
facoltà di immaginare, afferma: “Io non sono quella persona che
sembro di essere. L’immaginazione è un inganno. L’inganno è
quello che usiamo fare quando non abbiamo niente”. Ma Guido
gli ribatte che immaginare non è un inganno, “è la
facoltà di protendersi verso qualcosa che non si sa bene che
cosa sia” “E’ come chiudere gli occhi e crearsi il film,
hai la possibilità di raccontare, è come dire che esiste questo
mondo che stai raccontando” approva Zero. Giancarlo Pontiggia
sottolinea che inganno ha anche un’accezione positiva,
Leopardi parlava infatti di “dolci inganni”. Poi chiede
ai partecipanti: "Perché fare poesia? Perché fare poesia è
creare una forma esatta dove tutto è perfetto, concentrare in
poche parole un sentimento del mondo che ci sfugge. Aprirsi
all’infinità e creare una forma per dare ordine. La poesia è
paradossale, parla di un’impossibilità".
Iena in disaccordo risponde che la vita è un grande
bluff, in quanto siamo inadeguati e pensiamo di non esserlo. Così ci
spingiamo sempre più in là e cerchiamo di ragionare per infinito.
Lo creiamo perché non riusciamo a definirlo. Ma l’ospite
prosegue: “La poesia ha la stessa forma della preghiera, penso
al divino che non posso pensare e lo penso dentro la forma della
preghiera, lo metto qui e ho stabilito un ponte”. Il discorso
suscita interesse e Zero osserva: E’ bello pensare poesia e
preghiera insieme. Un altro partecipante soggiunge: "Vedi
l’aldilà che ha l’al di qua perché non riesci a immaginare il
nulla". Zero conferma: “Paradiso vuol dire terra”.
Animabella che ha ascoltato in silenzio strimpellando la chitarra
chiede a un tratto: “Adesso dove viviamo?”
Il
dialogo si intreccia e a Zero per il quale “noi siamo carnali e
non possiamo trasformarci in angeli”, Iena ribatte che Dio ha
fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza. Il riferimento teologico
a Lucifero tentatore e adescatore porta Animabella a dire in tono
dubitativo “Se mi metto d’accordo con Satana esco di qui”.
La domanda sul senso del dolore fa da ponte per la discussione. Il
messaggio rivoluzionario del Cristianesimo, lo si può interpretare
anche come un mito, è quello di un Dio che si fa uomo e si mette al
livello delle persone per farsi partecipe delle loro sofferenze, è
la conclusione incisiva di Giancarlo Pontiggia, dopo l’animato
confronto fra convinzioni diverse.
Ma dal tema generale si scivola
verso le vicende individuali. “E’ pesantissimo pensare che
riescono a trovare una via, una gabola per tenerti qua dentro",
riprende Animabella, "il diavolo o ti chiede di fare quello che ti
dice lui o ti tiene dentro. Non si scollerà mai da me fin quando non
farò ciò che chiede. Oggi mi sento più pesante, vorrei potere
scontare la pena a casa mia con le persone che mi vogliono bene”.
Per Zero il diavolo è il nostro lato negativo La lettura delle
liriche Preghiera per andare in paradiso con gli
asini e Rosario di Francis Jammes,
tratte dal volume Il crocifisso del poeta, tradotto
da Giancarlo Pontiggia, interrompe il corso delle riflessioni sul
rapporto tra bene e male.
La prima lirica, dall’andamento fiabesco,
è un’invocazione rivolta a Dio. Francis Jammes chiede di giungere
in paradiso “ché non c’è inferno nel paese di Dio”
con i suoi grandi amici asini e di rimanere con loro “tra ruscelli
ombrosi” e “ciliegie che ridono”, "nell’amoroso cerchio
dell’eternità". La seconda lirica è, invece, una commossa
rappresentazione dei dolori e delle pene che straziano sia gli
uomini sia le bestie. Come nei grani di un rosario,il poeta snoda, in
una lunga carrellata, le sofferenze del giusto guardato alla stregua
dell’assassino, l’umiliazione dell’innocente punito, la
malattia che colpisce il bimbo innocente, la vecchiaia, la povertà,
e tutti gli obbrobri e gli abusi che attanagliano l’umanità. "Nella
catena della sofferenza vi è anche chi è imputato per una cosa che
non ha fatto", commenta Giancarlo Pontiggia.
Una poesia dello
stesso Pontiggia: Bosco del tempo offre lo spunto per
riflettere sul senso di straniamento cui ha accennato Guido. Ognuno
di noi è tempo e memoria, c’è anche il tempo degli altri e il
tempo della storia, ci muoviamo in uno spazio perdendoci e
ritrovandoci continuamente, spiega l’autore. Nel testo
il bosco è una metafora della vita collegata all’idea di ombra, e
la vita si configura come un percorso che inizia dalle origini,
quando non c’è nulla e arriva al presente, stratificato dentro di
noi.
Zero mette insieme Socrate che esorta a conoscere se stessi e
Einstein con la sua teoria del rapporto tra spazio e tempo. L’ospite
dopo avere affermato che: “La nostra vita è molto più fatta
di immaginazione”, domanda: “Che cosa è più vero quello
che facciamo o sono più vere le cose che desideriamo?” Iena
risponde che noi, a differenza di tutti gli altri esseri siamo
pensanti. Pensiamo che non possiamo essere infiniti, ma tendiamo a
essere Dio, nella politica e nell’esercizio del potere e nella
stessa criminalità per superare i limiti e prevaricare sul
prossimo. Animabella chiede: "Chi è stato cacciato dal
Paradiso per avere voluto essere uguale a Dio?" Lucifero che ha
commesso il peccato dei peccati, gli rispondono Giancarlo Pontiggia e
gli altri partecipanti. Iena attualizza la scelta dell’angelo
ribelle paragonandola all’ambizione sfrenata e avida che ci porta a
pretendere anche le cose che non potremmo avere. Guido gli replica
che non c’è una voce che ti comanda o un grande teorizzatore ma
alla radice c’é il desiderio di colmare un vuoto che viene
riempito continuamente da qualcuno o da qualcosa.
Il ragionamento
successivo verte sul rapporto tra la libertà e gli eccessi,
condizionati dalla nostra cultura edonistica. Pontiggia chiede “Che
cosa vuol dire essere liberi? Possiamo dividere in due parti tutte le
cose che ci accadono, la libertà non si può vivere sulle cose che
non puoi controllare, ci sono cose che dipendono da te. La libertà
morale riguarda la tua interiorità”. “E’ così facile
vivere, anche nella povertà!” esclama
Animabella. Iena allora confida che fuori dal contesto carcerario
non era in grado di riconoscere certi valori, “Qua dentro ho
scoperto le cose essenziali come il valore della famiglia, della fede
e dell’educazione" e racconta un episodio avvenuto in cella tra due
detenuti, uno giovane e l’altro anziano. Zero commenta: "Siamo tutti
degli eremiti qua dentro" e Guido in eco: "Siamo soli con noi stessi".
Verso la fine dell’incontro Giancarlo Pontiggia legge altre due
liriche tratte da una sua raccolta: la prima registra un’esperienza
ordinaria, il momento in cui ci si addormenta e si entra in uno
strano mondo simile a una curiosa terra di mezzo. La seconda parla
della dolorosa scoperta del male, stigma dell’uscita
dall’infanzia, attraverso un ricordo dell’autore bambino: “Il
male un giorno vidi, il male puro e assoluto come una pena oscura,
non per lui ma per me”. E’ il momento in cui “guardi te stesso
e vedi la verità” commenta colpito un partecipante. Sono le
note della canzone triste di Animabella, a concludere l’incontro
insieme alle strette di mano e ai ringraziamenti calorosi
all’ospite.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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