sabato 6 aprile 2013

Raggio numero sei di Federico Riccardo Chendi

Durante l'incontro del 19 novembre 2012 Federico Riccardo Chendi ha promesso ai detenuti che avrebbe scritto un testo sulla sua esperienza in carcere. Questo scritto è stato letto durante l'incontro del 14 marzo 2013



Raggio numero sei
di Federico Riccardo Chendi

Troppi cancelli e troppe chiavi, e secondini troppo giovani con l’accento napoletano e quelli più anziani che si confondono con i carcerati, stesso modo di parlare, stessi gesti.

I carcerati sono abissi, difficile stargli accanto senza sentire uno spiffero. Certi detenuti sembrano cicche di sigarette, vite bruciate troppo in fretta, troppo in periferia. Sigarette senza filtro comprate in tabaccai lontano dal centro, dove i campi pieni di fango si alternano alle case scrostate dalla pioggia.

San Vittore è umido e ti viene il freddo nelle ossa.

San Vittore fa schifo, è un relitto nel centro di Milano, lontano dalla moda e dal design.

Veniteci voi a prenderlo nel culo a San Vittore e le guardie non sentono niente quando gli fa comodo.

Infami, sbirri e peggio qui ci sono, gente che non ha saputo tenere il cazzo a posto. Ma poi alla fine un lampo negli occhi, come un luccichio, e ti viene una vertigine. Ma se qualcuno fosse innocente? Io lo sono?

E ti senti in colpa per la birra media che hai appena bevuto, o per la scopata della notte prima con tua moglie, o solo per il tepore di un calorifero, è umido San Vittore, troppo umido.

L’acqua entra nel cervello e ti viene voglia di piangere anche se sei un duro a San Vittore raggio numero sei.

Piangi sotto la doccia tiepida e poi sai che nel quartiere non si ricordano neanche il tuo nome. I sudamericani hanno preso il tuo posto, o magari i magrebini o quelli dell’Est.

Piangi al raggio numero sei.

Piangono anche quelli di fuori ma qui tutto è diverso.

Quando arriva ‘sto cazzo di processo? Perché sono venuto in Italia? Perché non ho fatto la boxe?

Troppi tatuaggi, alcuni belli, altri brutti, ma qui il bello non esiste.

Guarda basso, guarda in alto, se esco non lo faccio più porcaputtana lo giuro…

Ho voglia di scopare raggio numero sei, mi va bene anche una troia da strada, mi va bene anche una birra alla spina. Fatemi uscire anche solo un giorno.

Non lo faccio più lo prometto o meglio lo spero se l’ho fatto non avevo alternative, ma che ne sapete voi che dormite al caldo…

Poi torna la calma nel raggio numero sei, e nel tuo cervello un torpore ti prende i muscoli e le ossa e il sangue scorre regolare e tutto è a posto, un raggio di sole scavalca le persiane le sbarre scavalca il muro incrostato, scavalca la tua pelle, un raggio che ti fa caldo. E ti senti parte del mondo, di tutto il mondo quello dentro e fuori, e le mura non ci sono e neanche i delitti e i reati, i giudici e gli avvocati, non c’è un cazzo, sei solo tu e quel raggio di sole al raggio numero sei.

Domani esci ma domani non viene mai al gabbio. È sempre oggi in casanza, oggi ieri domani e dopodomani. Domani è oggi, oggi è domani.

Non te la ricordi neanche come è fatta una donna, o meglio te la ricordi ma fa male ricordarla, il suo profumo il suo sapore.

Raggio numero sei o esco o mi ammazzo, ma forse non serve, sono già morto dentro raggio numero sei.

Non ho mai avuto paura purtroppo raggio numero sei, adesso ho paura ma poi mi passa.

Ho voglia di vivere raggio numero sei, per lei per me per mio padre bastardo che se mi voleva un po’ di bene non ero qui.

Quando esco mi vendico, quando esco metto la testa a posto raggio numero sei, quando esco raggio numero sei?

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