martedì 21 maggio 2013

Giancarlo Zappoli presenta Le nevi del Kilimangiaro

Incontro del 6 maggio 2013 Milano Casa circondariale San Vittore. 
Giancarlo Zappoli presenta Le nevi del Kilimangiaro, un film di Robert Guédiguian. 
Giancarlo Zappoli, Azalen Tomaselli, Simon Pietro De Domenico e Gruppo Cuminetti con i detenuti.
Il cielo è coperto da banchi di nuvole, poche gocce di pioggia fitta e sottile, con la primavera che tarda a arrivare. L’appuntamento è davanti San Vittore nel piccolo spiazzo verde. Giancarlo Zappoli, Azalen e Simone varcano il portone e, dopo qualche intoppo burocratico, superano i cancelli e dalla rotonda imboccano il sesto reparto. Al sesto, l’aula cella è già predisposta per la proiezione del film Les neiges du Kilimandjaro di Robert Guédiguian. Chiacchiericcio e saluti mentre Simone fa le prove (sarà necessario il computer degli educatori, portato su dalla dr.ssa S.). Finalmente le immagini animano lo schermo, un lenzuolo fissato alla parete, e si parte con la visione, dopo la breve presentazione dell’ospite. La vicenda è ambientata a Marsiglia, dove un sindacalista decide di estrarre a sorte i nomi dei lavoratori che dovranno essere licenziati, includendo anche il proprio. Spinto da un senso di equità e giustizia, subisce la chiusura del proprio rapporto di lavoro e si avvia a una vita di prepensionamento, divisa tra la cura dei nipoti (tre) e i fornelli (quando la moglie che fa la badante è fuori casa). A cambiare radicalmente le cose interviene la rapina di una consistente somma di denaro e di due biglietti per un viaggio in Tanzania, regalati da figli e amici alla coppia per il trentesimo anniversario. Il fatto sconvolge completamente la vita dei due maturi coniugi, demistificando tante piccole sicurezze e verità e cambiando irreversibilmente il loro sistema di valori.


Il punto di snodo del film è l’incontro tra l’autore del reato (che ha un complice) e la vittima: il rapporto tra bene e male e la sbarratura simbolica che, omologando dalla parte dei malfattori il rapinatore, assolverebbe l’intera società e la stessa vittima che la rappresenta, è, se non rovesciato, rimesso in discussione. Nelle parole del cognato che condanna senza appello il giovane rapinatore, invocando per lui pene sempre più severe, si gioca il conflitto e la dinamica sociale ostile, condizionata da fattori scatenanti come la crisi della famiglia, la mancanza di lavoro e la solitudine. 

Il regista posa lo sguardo anche sul gap generazionale, rappresentando una nuova generazione più cinica e indifferente, più ripiegata su posizioni utilitaristiche, e ormai lontana dagli ideali di una stagione riformatrice, ormai al tramonto. 

Dopo la visione, Giancarlo Zappoli si è trattenuto con i partecipanti a sottolineare i momenti più significativi del film, mettendo in risalto molto bene la dialettica tra esterno e interno, tra precarietà, miseria, disoccupazione che, da una parte, colpiscono i più deboli e impreparati, e maturazione e messa in crisi di sicurezze interiori, in una società in evoluzione. Momenti alti e momenti bassi che dovrebbero portare ciascuno a non adottare la logica amico-nemico e a andare oltre la paura e la scomunica sociale. La riparazione e la solidarietà costituiscono, infatti, un possibile modo etico di ritrovare felicità e slancio. 

Zappoli ha concluso citando le parole di Jean Jaurès, il pacifista assassinato un giorno prima della mobilitazione che diede il via alla prima guerra mondiale, a proposito del coraggio. "Il coraggio" - ha ribadito - "è dominare i propri errori, soffrirne, ma senza venirne schiacciati e proseguire il proprio cammino". 

Alla fine dell’incontro, Simone ha richiamato l’attenzione dei partecipanti sul tema della mediazione reo-vittima, reso in modo simbolico dall’incontro faccia a faccia e dal dialogo drammatico tra Michel e il giovane rapinatore, proponendo per il Libroforum un approfondimento su questa pratica, prevista dal nostro sistema giudiziario. L’incontro giunge al termine tra ringraziamenti e saluti.

“Il coraggio è essere al contempo, quale che sia il proprio mestiere, pratico e filosofo. Il coraggio è capire la propria vita, precisarla e approfondirla, stabilirla e accordarla però alla vita generale.Il coraggio è controllare con precisione la propria macchina per tessere, affinché nessun filo si rompa, e preparare al tempo stesso un ordine sociale più ampio e più fraterno in cui quella, macchina sarà la serva comune dei lavoratori liberi (…)
Il coraggio è dominare i propri errori, soffrirne, ma senza venirne schiacciati e proseguire il proprio cammino. Il coraggio è amare la vita e guardare la morte con occhi tranquilli;
il coraggio è cercare l’ideale e capire il reale; Il coraggio è agire e votarsi a grandi cause senza sapere quale ricompensa l’universo profondo darà al nostro sforzo, né se vi sarà mai alcuna ricompensa. Il coraggio è cercare la verità e dirla; è non subire la legge della menzogna trionfante che passa, non consentire alla nostra anima, alla nostra bocca e alle nostre mani di farsi l’eco degli stupidi applausi o dei fischi esaltati.”

* I nomi dei detenuti sono di fantasia  

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