Incontro del 18 novembre 2013 Milano Casa circondariale San Vittore.
Martina Tombari parla di mediazione penale e dei conflitti.
Martina Tombari, Azalen Tomaselli, Giorgio Cesati Cassin e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Mentre Giorgio Cesati Cassin prende posto nelle ultime file e Simone fa le prove audio per la proiezione, Azalen invita i partecipanti a considerare Cena tra amici (Le Prénom), un esempio di quanto i rapporti umani siano spesso falsati da pregiudizi e di come basti poco per fare venire a galla vecchi rancori, invidie e risentimenti camuffati dal bon ton. I due registi Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte danno, infatti, con questo film un brillante saggio del repentino trasformarsi di una innocua cena tra amici in un gioco al massacro, in cui ognuno dei commensali tira fuori tutto il veleno celato dietro legami apparentemente affettuosi. Il virus non lascia indenne nessuno e la verità mette a nudo impietosamente, con una potente lente di ingrandimento, i difetti di ogni componente il ristretto gruppo, trasformandolo in maschera o macchietta.
All'origine del meccanismo comico c'è il gusto di sbeffeggiare la vittima di turno per rallegrare la serata. Il fuoco di fila delle battute urticanti svela i sentimenti che legano la piccola comitiva di parenti e amici: la taccagneria di Pierre, (padrone di casa e marito di Elizabeth) un docente universitario a la page, la supponenza e l'egoismo del cognato Vincent, un affermato immobiliarista, la presunta omosessualità di Claude, un orchestrale amico di famiglia, il risentimento e l'invidia di Elizabeth verso il fratello e il marito, l'indifferenza di Anna, moglie di Vincent e manager di successo.
Il pretesto per la carneficina è la scelta del nome Adolphe, che Vincent ha deciso di mettere al nascituro. La reazione a catena che ne segue centra tutti i bersagli, non escludendo nessuno. Al termine della serata, ogni membro del gruppo ha scoperto quello che gli altri pensano e deve accettare questa verità parziale. Nel finale la stessa comitiva si ritrova a stringersi attorno alla neonata, femmina, che porterà il nome della nonna, sebbene sia trapelato che ha un'imbarazzante relazione con Claude, di quasi trent'anni più giovane di lei.
Il film si presta a più letture. E' infatti una parodia di certa sinistra snob e colta e di una destra cinica e arrivista: il contrasto tra Pierre e Vincent è giocato tutto su questo, ma offre una dimostrazione di come si possa passare bruscamente da una situazione di tranquilla tolleranza all'insulto e alla provocazione.
Martina coglie l'occasione per parlare del conflitto, una condizione che insidia tutte le relazioni e che sfocia molte volte in gesti estremi. Spiega che la mediazione è un modo efficace per risanare i rapporti e per ristabilire la comunicazione tra persone che l'hanno interrotta. E' – spiega - uno spazio di parola e di ascolto, che consente a ciascuno di raccontare la propria verità su fatti delle volte traumatici, che hanno determinato un'offesa e una vittima. Il mediatore è colui che svolge un ruolo di terzietà, non è infatti né per l'una né per l'altra parte, non deve fare né da giudice, né da arbitro, né da consigliere, ma deve permettere alle parti di incontrarsi e se possibile di riconoscersi.
Poi la stessa Martina invita i partecipanti a parlare di un loro conflitto. Un partecipante prende la parole per parlare della sofferenza che gli ha procurato la mancanza di rispetto da parte dei compagni di cella e della sua necessità di cambiare cella per sottrarsi a una situazione emotivamente insopportabile. Segue l'intervento di un secondo partecipante che racconta di essere stato costretto a cambiare cella molte volte per l'incompatibilità con gli altri compagni. Un terzo partecipante si vanta di non avere mai avuto la necessità di cambiare sistemazione e muove una critica ai compagni intervenuti nella discussione, richiamando l'obbligo di adattarsi alla convivenza in un contesto come il carcere. Da dietro qualche detenuto disapprova. La discussione si infervora.
Martina spiega che stanno dando vita a un conflitto e che questo è materia dei mediatori, i quali in questi casi, dopo l'esposizione di ognuno dei medianti, fanno da specchio, alle emozioni espresse. La mediazione è anche un percorso introspettivo che permette a ciascuno di attingere una nuova consapevolezza e acquistare una nuova prospettiva sui fatti che hanno originato il conflitto.
Il mediatore lancia un sentito, una breve frase con la quale rimanda - come fa lo specchio - l'emozione che ha percepito in sé durante la narrazione o la discussione tra i due (o più) interlocutori. In questo modo interrompe il flusso della comunicazione per favorire la riflessione. Martina Tombari mostra cosa sia un sentito, rivolgendosi al detenuto che ha parlato gli dice: “Sento una sofferenza”. C'è un momento di silenzio nella piccola aula, carico di emozione e il detenuto riconosce il disagio delle relazioni difficili che si sviluppano in spazi ristretti e tra persone costrette a coabitare.
Azalen riprende il sentito di Martina e aggiunge “Senti una mancanza di rispetto” Il detenuto accetta queste parole, qualcuno si infastidisce, perché il tema del rispetto ha una sua criticità in un contesto dove le relazioni sono prevalentemente fondate sul dominio. Ma il gruppo continua a interrogarsi. Un detenuto sottolinea l'importanza di mediare con se stessi, spostando l'attenzione sulla pacificazione interiore come presupposto per andare d'accordo con gli altri.
Martina dialoga con i partecipanti e poi confida: “Il mio sogno è fare un corso di mediazione a voi”. Sono parole che incontrano l'adesione di molti dei presenti. Al momento dei saluti ognuno sente il bisogno di trattenersi con l'ospite e di ringraziarla per lo scambio. Sono in molti a chiedere se questo incontro avrà un seguito.
Poi come sempre i partecipano sciamano verso il corridoio dove ciascuno rientra nella propria cella, portando, forse, un'eco delle parole scambiate e dell'esperienza fatta.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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