Incontro del 16 dicembre 2013 Milano Casa circondariale San Vittore.
Leandro Gennari e il suo viaggio tra i ricordi.
Leandro Gennari, Azalen Tomaselli e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Oggi il cielo è arabescato da nuvole
che si librano nell'aria umida, come volute di fumo grigio.
Azalen e Simone al bar di via degli Olivetani attendono Leandro
Gennari; Lo intravedono nel piccolo spiazzo antistante il portone.
Dopo la rituale trafila dei controlli, arrivati al sesto secondo,
trovano il cerchio delle sedie più largo.
Simone illustra il Libroforum ai nuovi partecipanti e Azalen introduce l'ospite che si
presenta, raccontando la sua lunga carriera di medico chirurgo: per
40 anni primario all'Istituto dei tumori e per 20 chirurgo
all'Humanitas (www.humanitas.it).
Il tono è discreto, socratico, affabile. Azalen
chiede di raccontare un episodio che a suo tempo suscitò clamore
mediatico. Un suo giovane paziente, subita l'amputazione di una gamba
per un sarcoma, dopo qualche anno doveva operarsi per l'insorgenza di
un nuovo tumore, indipendente dal primo, dall'altra parte del bacino.
Per salvarlo occorreva asportare la gamba rimasta. Parlando del caso,
l'equipe decise di trasportare dall'altro lato la gamba sana.
L'intervento, delicatissimo, durato dieci ore ebbe successo. Il
giovane una volta dimesso venne invitato in televisione e quando
lo informarono che era presente tra il pubblico il professore che
l'aveva operato, lui lo salutò: “Ciao, papà”. Si commuove
Leandro Gennari, nel rievocare questa storia, poi continua a trarne
spunto per una riflessione generale:
“Davanti i tumori noi dobbiamo
perdere... ci sono momenti della vita in cui le cose vanno storte e
siamo vittime delle circostanze, bisogna mettersi dalla parte della
ragione e questo vuol dire essere amati, aiutati”, e prosegue: “ci
sono situazioni professionali in cui bisogna intervenire
drasticamente, incidere anche nella vita”.
Azalen accenna al
libro di Leandro Gennari, che uscirà tra poco, edito da Mursia e che
affronta il tema del complesso rapporto tra politica e medicina. Gio
cita il caso Di Bella e le aspre polemiche tra sostenitori e
detrattori della cura. L'ospite replica con la serenità dell'uomo
che si attiene ai dati scientifici: “La scienza medica è basata su
esperienze mondiali”, e richiama i formidabili progressi, ottenuti
nella lotta ai tumori e intrecciandoli con la sua esperienza sul
campo.
“Appena laureato, sono andato all'istituto dei tumori”,
precisa “... e allora l'80, il 90% delle persone moriva; oggi la
stessa percentuale arriva in condizioni di essere curata bene; per il
tumore alla prostata circa l'84% guarisce. Sono dati confortanti, la
cura Di Bella era omeopatica, la stessa questione sorge oggi con le
staminali”.
Accenna poi all'opportunismo che spesso si cela dietro
tante battaglie, osservando che l'esperienza della sanità appoggia
“su montagne di cadaveri”.
A fare queste considerazioni è il
medico che mette a confronto i primi interventi di amputazione che si
svolgevano in 3 minuti, con quelli eseguiti oggi, in un'ora.
“La
medicina ha avuto una progressione continua”, sottolinea “e lo
snodo è stata la scoperta dell'anestesia, praticata la prima volta
nel 1886, da un dentista. (Ndr: si riferisce a William green Morton) Entro la fine del 2000," afferma, "non sarà
più il chirurgo a operare, ma la TAC che darà istruzioni al robot".
L'ospite esalta il ruolo della ragione: “Se uno ragiona non può
non ottenere dei buoni risultati” elogia la disponibilità alla
lettura, il colloquio sincero l'uno con l'altro, quasi a delineare un
suo ideale di vita.
Azalen estrae un volumetto azzurro e chiede a
Leandro Gennari di leggere all'uditorio interessato alcune liriche
tratte da Pensieri dell'Io.
Sono brevi scorci paesaggistici,
esperienze che hanno lasciato un'orma indelebile nella memoria
dell'autore come Fanciulla senza nome dove il
passaggio rievocato di una fanciulla fa sobbalzare il cuore
appassito. In Natale la luna coronata di stelle e il
cielo terso fanno pregustare la gioia di donare qualcosa a chi si
ama.
Sull'onda della poesia, l'ospite apre l'archivio dei suoi
ricordi di guerra con l'episodio dell'uomo freddato dai partigiani
sotto il monumento di piazza Cinque giornate. Quando la Croce rossa
arriva per trascinarlo via, rimane sull'impiantito il segno rosso. “In quel momento è arrivata una pioggerellina tenue”, commenta.
Poi parla della finestra, quasi un occhio sulla vita, dalla quale
vedeva scorrere le immagini della guerra che si confondevano con
quelle della sua prima giovinezza. Frange di ricordi che riemergono,
come i cadaveri affastellati insieme alle macerie, a ridosso della
palizzata di legno, eretta davanti La Camera del Lavoro, che si
offrivano al suo sguardo, quando si recava al liceo Berchet.
Le palle
di neve lanciate per gioco a un manifesto al Palazzo di Giustizia e
l'interrogatorio da parte di alcuni repubblichini che lo avevano
colto sul fatto: “Tu cosa fai? Tuo papà che cosa fa?” La
risposta, liberatoria, arriva istantanea: “E' prigioniero”.
Simone ricorda un racconto di Paul Auster, Il racconto di natale di Auggie Wren, in cui si parla dei cambiamenti anche
impercettibili che il tempo imprime su cose e persone.
La discussione
evolve verso quanto ciascuno sia condizionato dal proprio ambiente. I
racconti personali si intrecciano: dal vizio del bere, alla
conduzione di un'azienda in proprio, alla esperienza di essere padre.
Il tema conduttore è “Dove ho sbagliato?”. Gio parla della
scelta di non essere andato a lavorare all'estero. Simone accenna al copione di vita teorizzato da Eric Berne.
Gennari sostiene
che occorre essere giudici di se stessi. Oggi la gioventù vive con
la birra; alle colonne di San Lorenzo i bar vendono duemila
bottiglie, replica Gio. Simone rivendica le ragioni della nuova
generazione, vittima delle scelte della generazione che l'ha
preceduta, più che colpevole.
La lettura di alcune liriche fa
risuonare parole che lasciano un'eco nell'anima. Donna ideale
svela emozioni evocate dalla presenza di questa figura enigmatica e
evanescente come una fantasia onirica, mentre ne Il bosco e
l'uomo a colpire è la misteriosa rispondenza tra l'uomo e
il paesaggio, spoglio e solitario:
La rugiada è opaca sui fili/ che il ragno paziente tesse/ per ignare prede non viste/ Un uomo lontano tende le braccia e/ abbraccia le cose che non vede.
I
saluti e le calorose strette di mano pongono fine, come sempre,
all'incontro.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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