Incontro del 2 dicembre 2013 Milano Casa circondariale San Vittore.
Riflessioni sulla mediazione penale.
Una bella giornata, nell'aria briciole di sole che si posano dovunque. Azalen, Simone sono puntuali e si ritrovano con Giorgio Cesati Cassin al bar d'angolo. Qui li raggiunge Leandro Gennari, un medico che desidera partecipare agli incontri del Libroforum.
Azalen Tomaselli, Giorgio Cesati Cassin e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Poi solita trafila di porte e cancelli fino al sesto secondo dove il bibliotecario comunica che i partecipanti si faranno attendere perché partecipano a un altro incontro. Dopo un buon tempo di attesa arrivano. L'incontro di natura religiosa suggerisce a Giorgio una confidenza rispetto alla sua fede: nel suo elettrocardiogramma da crisi religiose, si trova nella linea isoelettrica, nel punto di passaggio che può andare in su e in giù. Si definisce un agnostico. Ma, soggiunge, quelli che si proclamano atei somigliano a quelli che negano di essere superstiziosi, quando si salutano si preoccupano di non incrociare le mani!
Dopo queste divagazioni, lo stesso Giorgio legge il resoconto e Simone per non annoiare racconta a voce quanto si è scritto sull'incontro avuto con Martina Tombari.
E' lo spunto per raccogliere qualche opinione sulla utilità di una giustizia riparativa, al di fuori delle aule dei tribunali. Azalen precisa che la mediazione è legge e è prevista da alcuni articoli del codice, ma che stenta a diffondersi per la resistenza di alcune categorie professionali. Simone spiega a sua volta che consiste nella opportunità di fare incontrare la persona che ha procurato un'offesa e la persona che l'ha subita, con l'obiettivo di porre fine a tutti quei sentimenti negativi che non permettono alle parti contendenti di elaborare i fatti avvenuti.
Riconoscere le ragioni che hanno condotto a un certo comportamento aiuta a vedere nell'altro una persona che ha sbagliato e non una persona da odiare o da cancellare. Solo così si può ricucire lo strappo che qualsiasi violazione della legge apporta nel tessuto sociale e si può ricostruire una vera pace.
E' indispensabile che chi sbaglia riconosca il suo errore verso l'altro e che chi ha ricevuto un torto si mostri in grado di “andare oltre” e di riconoscere la stessa sua umanità in chi gli ha procurato tanto dolore.
Qualcuno dei partecipanti osserva che vi sono azioni che non si possono emendare e per le quali una mediazione è impossibile. Azalen replica che la mediazione è avvenuta anche per vicende molto gravi, ad esempio tra i parenti delle vittime del terrorismo e i brigatisti, che hanno potuto così constatare il danno procurato a persone innocenti.
Zero è scettico. Gio si informa sui modi per accedere a questa opportunità. Azalen risponde che in molte città d'Italia sono attivi degli uffici di mediazione e spiega che la mediazione è volontaria e che non dà benefici sul piano penale, ma serve a ricomporre delle fratture, soprattutto quando l'offesa è stata commessa all'interno della stessa famiglia o di una piccola comunità.
Le persone dovranno frequentarsi e occorre offrire loro l'opportunità di mitigare l'odio e la vendetta. Alcuni partecipanti sostengono che la vendetta elimina il dolore di avere subito un torto ingiusto. Giorgio sostiene che è sbagliato covare rancori, confidando: “Io mi creavo delle malattie psicosomatiche per il rancore e il risentimento”.
Zero racconta di avere fatto le pizze e che un compagno si era accorto che in una delle tre aveva messo più mozzarella, ma non aveva detto niente perché Zero nella propria ne aveva messa ancora meno. Anche cose futili possono guastare un rapporto.
Simone riprendendo i vari interventi conclude affermando che la mediazione per alcune persone può rivelarsi utile o addirittura necessaria per altre non lo è per la sfiducia che esse hanno nella possibilità di ricostruire un rapporto gravemente compromesso.
I saluti concludono come sempre l'incontro.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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