Incontro del 12 maggio 2014 Milano Casa circondariale San Vittore.
Anche il carcere è una città invisibile.
Azalen Tomaselli, Giorgio Cesati Cassin e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
L’applicazione del provvedimento che fissa una soglia massima di detenuti per ogni cella ha notevolmente ridimensionato la popolazione di San Vittore. Per iniziare, Simone legge il resoconto dell'incontro precedente su Le citta invisibili (Vedi QUI), spesso interrotto da qualche osservazione e ripete che Calvino vede la città non solo come luogo di scambi commerciali, ma come luogo di scambi di parole, pensieri e relazioni umane.
“Anche il carcere è una città invisibile”, qualcuno esclama.
"La compresenza di persone così diverse tra loro, fa del carcere uno specchio della società di oggi", poi i partecipanti si intergoano sulle ragioni che spingono a andare in paesi lontani. Proprio questa curiosità di sapere che senso abbia spostarsi da un luogo all’altro induce, infatti, il Gran Khan (in Le città invisibili, il romanzo discusso collettivamente durante il precedente incontro) a intrattenersi con il suo ambasciatore.
La domanda dell’imperatore dei Tartari a Marco Polo rimbalza nel gruppo. Qual è il senso del viaggio?
Il pretesto è in parte fornito dal lungo elenco di nazionalità straniere, letto da John. In un solo reparto sono rappresentate aree estese del pianeta, lingue e culture diverse:
Egitto, Perù, Danimarca, Romania, USA, Marocco, Filippine, Brasile, Bangladesh, Serbia, Tunisia, Cina, Albania, Equador, El Salvador.
Giorgio risponde alla domanda: Si viaggia per curiosità e per il piacere alludendo alla figura del globetrotter.
Ma John replica: “Anche per bisogno, quando nel proprio paese non ci sono le stesse possibilità di guadagnare, per conoscere e per acculturarsi”. Intesse poi l’elogio del Brasile “dove c’è una temperatura bella, uomini e donne, ci si sposa, l’importanza è che una persona possa essere felice”, conclude.
All’ultima parola del resoconto, il gruppo applaude Simone per avere letto un rapporto tanto lungo. Su invito dello stesso Simone, si comincia a ragionare su una città invisibile che possa fare pensare a San Vittore.
Jerry propone di raffigurarla come un labirinto e John la immagina come una città sotterranea, dove alcuni operai lavorano l’uranio per costruire una bomba atomica.
Renata non condivide la tendenza a mettere in luce le cose brutte e dichiara: “anche qui ci sono cose belle che si possono imparare, uno dall’altro, tante cose, non si imparano solo le cose brutte, possiamo trovare l’amore e condividere…molte esperienze”.
L’invenzione di un nuova città invisibile prosegue con la tecnica del brainstorming in cui partecipanti e conduttori espongono una proposta, mentre Simone ricorda continuamente che la città invisibile è una metafora. Azalen suggerisce di chiamarla Adichea, sull’esempio del romanzo di Calvino in cui tutte le città hanno un nome di donna, ricevendo l’approvazione generale, dopo la spiegazione data da Simone della etimologia che corrisponde a: a-diche = senza giustizia.
Da chi è abitata? "Tutte le persone non sono vive", risponde un partecipante: E un altro: “Ognuno fa quello che vuole”.
Simone conferma che è interessante il provvedimento di punire tutti, riferito da John, se “manca” qualcosa in una cella.
"Il metodo di punire tutti esisteva fino dai tempi dei romani", interviene Giorgio "e si chiama decimazione. Per dare un esempio alla viltà dei combattenti era estratto a sorte uno dei 10 legionari della coorte. Il metodo repressivo fu reintrodotto anche durante la Grande Guerra nei confronti dei soldati che non uscivano al comando dalla trincea, per indurre una rigorosa disciplina e un comportamento risoluto in battaglia". Prende il nome di decimazione dal fatto che non potendo eliminare l’intera coorte o il corpo di fanteria si colpiva un militare su dieci.
Il problema delle regole trova i partecipanti in disaccordo, Un partecipante esclama: ”Bruttissimo vivere in una città, senza regole e senza punizione!” Renata osserva: “Può non esservi la giustizia e esservi la regola” Un partecipante nuovo afferma: “Se c’è la regola, c’è la giustizia”
Mentre si parla, un’esplosione di voci provenienti dal corridoio avverte che c’è un liberante. E’ difficile rimanere in aula e non partecipare alla gioia comune salutando il compagno, ma è il liberante, rosso in volto per l’emozione, a raggiungere i partecipanti e a stringere le mani a tutti. Quando l’entusiasmo scema Simone spiega che la legge non è necessariamente morale, ma la giustizia è per definizione morale.
John, richiamandosi alla lettura di Antigone dice (di cui abbiamo discusso in un precedente incontro, vedi QUI): “Mi sembrano giuste tutte e due (legge e giustizia) ma quella che conta è la legge del re Creonte", "La giustizia si fa con le regole, stabilisce ciò che è buono e ciò che è sbagliato” replica un altro partecipante, non condividendo la distinzione introdotta nella discussione.
Ma è Renata che descrive a questo punto la sua città invisibile come un giardino pieno di fiori dove tutti si danno da fare per fare crescere le rose. Ognuno fa il suo percorso. I fiori raffigurano tutti i sentimenti positivi e le spine la cattiveria.
Jerry rilancia la sua rappresentazione del labirinto dove finalmente arriverà qualcuno che imporrà l’amore e la pace.
John immagina una città, governata da un oracolo, che manda chi si comporta bene in un’altra città dove la gente non ha bisogno di niente, né di legge né di punizioni perché l’oracolo è in grado di vedere nel cuore. "Quando le regole sono assurde vengono violate”, commenta qualcun altro.
Giorgio, entrato nel gioco collettivo, leggendo un altro esempio di città invisibile e descrivendo subito dopo la sua città dove ci sono solo sensi vietati e dove chi sale sul tram non può più scendere. Simone essendo giunti alla conclusione invita i partecipanti a scrivere qualche parola sulla propria Adichea che verranno discussi al prossimo incontro.
I saluti e le strette di mano pongono fine alla vivace chiacchierata.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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