Incontro del 5 maggio 2014 Milano Casa circondariale San Vittore.
Le città invisibili di Italo Calvino letto a San Vittore.
Oggi un bel sole sparge briciole di luce sulla città quasi a voler far dimenticare i piovaschi recenti. L’aria si è nuovamente riscaldata e rende piacevole la sosta sulle panchine di piazza Filangieri. E’ quanto confida Leandro Gennari, seduto in attesa dell’arrivo di Azalen e Simone a godersi la brezza primaverile. “Ho fatto il pensionato sulla panchina”, dice scherzosamente, salutandoli.
Azalen Tomaselli, Leandro Gennari e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Insieme si dirigono al sesto secondo, e trovano l’aula predisposta per l’incontro, con le sedie in cerchio. Come da protocollo, quando il gruppo è ormai riunito, Azalen inizia a leggere il resoconto.
La lettura è interrotta dall’osservazione di John, causata dal richiamo - nella trama di Antigone (Nel precedente incontro si è discusso di Antigone, vedi QUI) - al divieto di dare sepoltura a Polinice, decretato dal re Creonte.
Per i partecipanti che non erano presenti all’ultimo incontro, Azalen ricorda che l’Ade, era per i greci l’oltretomba dove i defunti, trasformati in pallide ombre, vagavano per l’eternità.
“Morti viventi”, commenta John, accostando le anime dei trapassati ai detenuti imbottiti di farmaci. Un altro partecipante in modo consequenziale, parla di un fenomeno macabro: le morti apparenti e il ritrovamento di bare con i graffi lasciati, nel vano tentativo di sollevarne il coperchio.
Ma è la miserevole condizione dei detenuti “sorvegliati a vista” a prevalere sui discorsi un po’ disordinati: ristretti - come viene precisato - in celle vuote, dotate solo di un materasso e di una coperta: “Ci facciamo male con le nostre mani, decidiamo noi, perché è diverso se uno si butta da un palazzo fuori, ma qui l’autorità carceraria è responsabile e deve prevenire il suicidio”, dice lo stesso John, motivando le misure estreme.
Jerry a sua volta denuncia le condotte autolesionistiche, frequenti nel carcere e un altro partecipante evoca le condizioni disumane degli ospedali psichiatrici giudiziari dove i degenti possono essere sottoposti anche a percosse.
Simone per introdurre il tema dell’incontro propone due brani, tratti da Le città invisibili, di Italo Calvino, il fortunato libro che conquistò allo scrittore l’invito a tenere conferenze anche in America. Il romanzo, dalla struttura aperta è composto da una serie di relazioni di viaggio che si presume Marco Polo abbia presentato all’imperatore dei Tartari, Kublai Khan.
Nei brani letti, Kublai Khan (presentato come un uomo consapevole della irrilevanza del suo sterminato potere) interroga il suo ambasciatore, sulle città del suo impero. Nel procedere del dialogo tra Polo e il Gran Khan, affiorano le ragioni che hanno indotto gli uomini a vivere nelle città.
Queste sono intese non soltanto come il luogo di vendita e acquisto dei prodotti, ma come un crocevia di persone, di culture e di linguaggi; snodo e crogiuolo di segni, di simboli, di desideri, di paure, di sogni.
Simone spiega che le città invisibili sono, più che luoghi fisici, itinerari per l’introspezione dei rapporti tra gli uomini. I due interlocutori che compaiono nel romanzo, interagiscono, a volte, anche al di fuori delle parole, con i gesti, con gli sguardi, con il solo pensiero.
Un partecipante osserva: “Sembra una filosofia buddista”. John collega il testo alla conquista cinese dei mercati mondiali che ha messo in scacco le economie occidentali ormai in declino.
Simone avverte che però il testo non va inteso in modo letterale perché Calvino vuole parlare del caos e dell’inferno in cui siamo costretti a vivere e degli aspetti positivi che è possibile riconoscere, sotto la metafora di immagini di città felici che prendono forma per svanire nelle città infelici.
John chiede incuriosito come potessero capirsi Marco Polo e l’imperatore. Simone gli risponde che la letteratura esula a volte da questi dettagli realistici, è una sfida al lettore perché scopra il senso che si cela dietro le parole. Un partecipante accenna alla telepatia che alcuni buddisti riescono a sviluppare. La conversazione si perde in mille rivoli e spetta a Simone indirizzarla sulla ricerca del discorso segreto che l’autore - per bocca di Marco Polo - rivolge al lettore.
Il primo argomento è il senso del viaggiare. Kublai Khan rimprovera Marco Polo di non riferirgli notizie utili per il suo potere come le concussioni, le congiure, la scoperta di miniere o di prezzi più vantaggiosi, ma di raccontargli cose futili come i pensieri della gente che prende il fresco stando a sedere davanti la soglia di casa.
A questo rimprovero l’ambasciatore replica che Kublai Khan potrà vedere le città con la fantasia da un osservatorio diverso da quello suo abituale. Allora è inutile viaggiare… gli risponde l’imperatore, per poi domandargli se lui viaggi guardando al suo passato.
Simone spiega che Calvino con il suo libro fatto a poliedro in cui ogni angolo ha una conclusione fa intendere che l’esploratore andando sulla sua strada scopre un passato che non sapeva di avere, perché addentrandosi nel futuro legge diversamente i fatti avvenuti.
John in disaccordo insiste sull'importanza della memoria del passato che preserva le radici. Per Marco Polo il vero obiettivo è la ricerca di se stesso.
Il tema è reso con l’esempio del viaggiatore che vede un uomo su una piazza e scopre che se avesse imboccato un’altra strada in quel preciso punto avrebbe potuto esserci lui. Quindi la metafora del viaggio è lo specchio: ognuno guardando gli altri scopre ciò che gli manca o ciò che ha.
John commenta: “Se fossi andato in Brasile, non finivo in galera!”.
Simone legge il brano dedicato a Zobeide, una città invisibile, fondata da uomini accomunati dallo stesso sogno: inseguire una donna senza mai raggiungerla. Convenuti per caso in uno stesso luogo, hanno voluto edificarvi una città.
Il sogno con il tempo è svanito ma la città conserva tracce concrete del sogno da cui è scaturita perché l’impianto è circolare e le sue strade sono divise da muri per permettere agli abitanti che nel sogno inseguono la donna di poterla raggiungere.
Gli ultimi arrivati a Zobeide ignorano cosa abbia attirato le persone in questa brutta città. Qual è la morale della favola? “Cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, Simone parafrasa: “Gli uomini inseguono per tutta la vita un desiderio che non riescono a raggiungere e di cui anche si dimenticano”.
John a questo punto esclama: "Sono curioso, mi piacerebbe viaggiare da una galassia all’altra". Leandro parla della scoperta di un nuovo pianeta, un cugino della terra su un altro sistema solare, dove le condizioni sono quelle del nostro pianeta ai primordi. Irraggiungibile, precisa, perché dista da noi 500 anni luce!
Il tempo è trascorso tra città inventate e divagazioni su galassie impossibili da raggiungere, su morti apparenti e su morti viventi e su una giustizia e uno stato che tollerano trattamenti inumani (anche se per scongiurare il peggio).
Alla fine le strette di mani e i saluti cordiali pongono, come sempre, fine all’incontro.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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