Incontro del 19 maggio 2014 Milano Casa circondariale San Vittore.
Davide Assael propone un esempio di fratellanza parlando di Giacobbe e Esaù.
Milano, giornata calda. Azalen scorge Giorgio Cesati Cassin intento a conversare con l’ospite del giorno: Davide Assael. Sopraggiunge Simone e dopo i rituali intoppi (introvabile l’autorizzazione e abituale visita all’ufficio educatori per scoprire l’arcano) si ritorna trionfanti sbandierando il prezioso lasciapassare.
Davide Assael, Azalen Tomaselli, Giorgio Cesati Cassin e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Al sesto secondo, un nuovo bibliotecario viene incontro e inizia a radunare i partecipanti, alcuni sono all’aria, ma si aggiungono alcuni nuovi. Azalen ha per la seconda volta dimenticato di portare il libro di Massimo Gramellini e promette di farsi un nodo per ovviare a questa ripetuta dimenticanza, imputabile all’età (il libro è stato promesso a un detenuto che non aveva potuto partecipare all'incontro sul libro del giornalista. vedi QUI).
Anche il resoconto che Simone inizia a leggere, dopo un breve preambolo di presentazione, non è quello del 12 maggio. Giorgio si diverte a stuzzicare Azalen per le sue defaillances, ma alla fine è Simone a tagliare corto, riassumendo per i presenti il contenuto del precedente incontro. E' la proposta sulle "città invisibili" a tener banco: I partecipanti del Libroforum hanno deciso di scrivere alcuni testi su una città immaginaria che possa rappresentare la casa circondariale di San Vittore. Giorgio legge per primo, agli ascoltatori un po’ spiazzati, il suo bel testo.
Poi ancora Simone commenta la città descritta da Renata nel precedente incontro (Vedi QUI): Questa Adichea è un roseto. Non è un luogo cupo, al contrario nella visione dell'autrice è una città che può rendere felici. Poi Simone si sofferma sul valore metaforico dell'immagine delle rose e delle spine: “Le rose siamo noi!” esclama Renata commossa, a conferma.
L’argomento scivola verso il sentimento di solidarietà che si sviluppa in carcere e offre una sponda al tema della fratellanza, introdotto dall’ospite.
Davide Assael esordisce pensando a alta voce davanti a un uditorio attento. “Ho ragionato sull’idea della fratellanza, non per trovare una risposta, ma per chiarirmi le idee… Chi è mio fratello, io mi sento più fratello con degli amici che hanno fatto la scuola con me, la fratellanza si costituisce tra militari, gente della stessa religione o dello stesso paese. Ho voluto cercare delle storie di fratelli per ragionarci assieme. A chi vi fa pensare il rapporto tra fratelli?”, “A Romolo e Remo” dice Michael. “A Caino e Abele, a Cam e Sem” si risponde dal gruppo.
Davide allora propone di ripercorrere la storia di due fratelli gemelli: Giacobbe e Esaù.
E’ una storia emblematica e mostra come la fratellanza sia un’esperienza umana difficile. Premette che sono due gemelli, cioè fratelli da sempre, fin dal loro concepimento. Il problema – commenta - lo hanno dovuto affrontare dall’inizio. “Siamo tutti fratelli” afferma Luigi, “perché figli dello stesso Dio." Poi precisa: "solo quelli che accettano Dio come padre”.
Il dibattito improvvisamente si anima, ciascuno ha una propria idea di fratellanza.
Davide riprende a fatica il filo per introdurre il personaggio di Rebecca, moglie di Isacco che non potendo avere figli, si reca nella tenda per pregare l’Eterno e sente una voce che le anticipa che il minore dei suoi gemelli comanderà sul maggiore.
Davide sottolinea che nel Nuovo testamento si insiste sulla genealogia di Gesù, facendo notare che il messia cristiano è un discendente di Giacobbe. Poi propone un brano tratto dalla Genesi:
Questi sono i discendenti di Isacco, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco. Isacco aveva quarant'anni quando prese in moglie Rebecca, figlia di Betuel l'arameo di Paddàn Aràm e sorella di Labano l'arameo. Isacco pregò l'Eterno dirimpetto a sua moglie, perché ella era sterile; l'Eterno accolse la preghiera e sua mglie Rebecca restò gravida. I bimbi si agitavano nel suo grembo e lei disse: "Se deve essere così dolorosa, perché ho voluto la gravidanza?" E andò nella tenda a consultare l'Eterno. L'Eterno disse: "Nel tuo grembo ci sono due nazioni e sin da dentro le tue viscere si distingueranno due regni. Un regno sarà più forte in seguito al declino dell'altro regno e il [figlio] maggiore servirà il minore (Gen. 25, 19-23).
Davide interroga i partecipanti su questa ridondanza presente nel testo: "Isacco, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco." Perché si insiste nel precisare per due volte che Isacco è figlio di Abramo e che Isacco è stato generato da Abramo?
William risponde che generare equivale a allevare. Davide approva questa risposta.
"Il "generò" iniziale ha un significato di allevare", conferma, sottolineando una continuità fra Abramo, Isacco e i suoi figli. La Bibbia sembra, così, dire che il tentativo di Abramo di creare legami di fratellanza indipendenti da origini etniche o tribali, continua nelle generazioni successive e raggiunge il punto culminante con il rapporto gemellare fra Giacobbe e Esaù.
Ma torniamo ai due fratelli: sono agli antipodi, Esaù è forte e rossiccio e Giacobbe, già nella pancia di Rebecca teneva il fratello per il calcagno:
"Che vuol dire?", domanda nuovamente Davide. Alcuni partecipanti si interrogano sul significato di queste parole, perché la Bibbia parla di avvenimenti tanto insignificanti?
Simone fa notare la natura economica del testo sacro, dove ogni parola riportata ha un significato, spesso figurato, ma niente è scritto per abbellire.
Davide spiega che la mano di Giacobbe sul calcagno di Esaù sta a significare la sua volontà di superare il fratello e prendere la primogenitura, che la natura gli ha negato. Si profila la rivalità per i due che si dipanerà lungo il corso della, vita allontanandoli e poi riavvicinandoli.
Il primo uscì rossiccio, coperto interamente di peluria, come di un manto, e lo chiamarono Esaù.Dopo di lui uscì suo fratello, la cui mano stringeva il calcagno di Esaù; lo chiamò Giacobbe. (Gen. 25, 24-26).
"Che vuol dire?", domanda nuovamente Davide. Alcuni partecipanti si interrogano sul significato di queste parole, perché la Bibbia parla di avvenimenti tanto insignificanti?
Simone fa notare la natura economica del testo sacro, dove ogni parola riportata ha un significato, spesso figurato, ma niente è scritto per abbellire.
Davide spiega che la mano di Giacobbe sul calcagno di Esaù sta a significare la sua volontà di superare il fratello e prendere la primogenitura, che la natura gli ha negato. Si profila la rivalità per i due che si dipanerà lungo il corso della, vita allontanandoli e poi riavvicinandoli.
La diversità dei due caratteri è anch’essa emblematica: l’uno è impulsivo e prediletto dal padre Isacco; l’altro, più caro alla madre, è accorto e riflessivo. I figli non sono tutti uguali e non sono amati allo stesso modo dai genitori, ribadisce Davide, leggendo, a questo punto il noto brano della minestra, sia per rimarcare la differenza tra i due fratelli, sia per rendere evidente quanto Giacobbe fosse determinato a ottenere la primogenitura:
Giacobbe cucinò una minestra ed Esaù tornò dalla campagna ed era stanco. Esaù disse a Giacobbe: "Fammi trangugiare un po' di questa minestra rossa perché sono esausto". Per questo fu chiamato "rosso". Giacobbe disse: "Vendimi, come è chiaro il giorno, la tua primogenitura". Esaù disse: "Ecco io potrei rischiare la morte; a cosa mi servirebbe questa primogenitura?". Giuramelo come è vero che è oggi. Glielo giurò e cedette la sua primogenitura a Giacobbe. Allora Giacobbe diede a Esaù del pane e la minestra di lenticchie. Esaù mangiò, bevve, si alzò e se ne andò: Esaù dimostrò scarsa considerazione per la primogenitura. (Gen. 25, 29-34).
Davide lascia intendere come a questo punto fra Esaù e Giacobbe sia stato firmato un contratto per evitare future rivendicazioni.
Insomma, la storia procede. Isacco, ormai vecchio, ordina a Esaù di cacciare e portargli un agnello per potere ricevere la benedizione della primogenitura, Il figlio ubbidisce subito al comando e va. Ma nel frattempo Rebecca spinge Giacobbe a prendere la benedizione dell’anziano genitore al posto del fratello che aveva venduto la primogenitura per un piatto di minestra.
Insomma, la storia procede. Isacco, ormai vecchio, ordina a Esaù di cacciare e portargli un agnello per potere ricevere la benedizione della primogenitura, Il figlio ubbidisce subito al comando e va. Ma nel frattempo Rebecca spinge Giacobbe a prendere la benedizione dell’anziano genitore al posto del fratello che aveva venduto la primogenitura per un piatto di minestra.
Tutto regolare, ma il figlio minore non vorrebbe ricorrere all’inganno, la madre lo rassicura impegnandosi a fare ricadere su di sé la maledizione di Isacco. Gli eventi si svolgono secondo i piani della donna, perché Isacco ne asseconda il volere:
Quando Isacco terminò di benedire Giacobbe e Giacobbe era appena uscito dalla presenza di suo padre Isacco, ecco che suo fratello Esaù fece ritorno dalla sua caccia. Anch'egli preparò piatti gustosi e li portò a suo padre. A suo padre disse: "Si alzi mio padre e mangi la cacciagione che suo figlio gli ha procurato così che il suo animo possa benedirmi". Suo padre Isacco gli disse: "Chi sei tu?" e quello rispose: "Sono tuo figlio, il tuo primogenito, Esaù". Isacco fu preso da uno spavento molto grande e disse: "Chi è dunque quello che ha catturato della selvaggina, me l'ha portata, ho mangiato prima che tu giungessi e l'ho benedetto? Egli resterà benedetto". (Gen. 27, 28-33).
Quando Esaù ritorna con l’agnello e, fuori di sé per l’inganno tramato alle sue spalle, vuole uccidere il fratello. Giacobbe, consigliato dalla madre, è costretto a abbandonare la casa paterna per cercare rifugio dallo zio Labano che lo punirà per la sua condotta sleale.
Davide chiede ai partecipanti contro chi si rivolga l’odio di Esaù. “Contro Giacobbe” è la risposta unanime del gruppo. Simone avanza l'ipotesi che nell'episodio della minestra in qualche modo lo stesso Esaù avesse ingannato il fratello, cedendogli la primogenitura, pur sapendo che mai avrebbe potuto ottenerla, senza la benedizione del padre. Davide afferma: "l’odio è rivolto a Giacobbe per avere sottratto l’unico bene che Esaù possedeva: l’amore del padre."
Giacobbe ribalta con l’astuzia le leggi della natura. Questa narrazione biblica mostra come sia difficile la fratellanza, perché entrano in gioco i ruoli e gli affetti più profondi. Alla fine Giacobbe potrà ritornare nella sua terra e riconciliarsi, ottenendo il perdono del fratello. La questione però, nell'intimo resterà irrisolta, la ferita, lo spigolo duro dell’inganno, la gelosia rimarranno per sempre, anche nelle generazioni future.
E’ un tema molto complesso che Davide ha affrontato leggendo il testo biblico, e che spiega proponendo tante letture e una pluralità di interpretazioni anche divergenti.
L’incontro si conclude tra saluti cordiali e l’invito a ritrovarsi assieme per parlare e confrontarsi... su argomenti e su esperienze che toccano tutti e sui quali è utile riflettere.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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