Incontro del 21 luglio 2014 Milano Casa circondariale San Vittore.
Il brigante siciliano di Alexandre Dumas offre spunti per le città invisibili.
Azalen Tomaselli e Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Al sesto secondo, l’agente di turno (in tema con il bollettino metereologico) propone loro di svolgere l’incontro nell’acquario (il locale biblioteca così chiamato perché delimitato da pareti a vetri). Radunato il gruppo, si procede con la lettura della poesia composta da Giovanni.
Questi, arrivato annunciando di avere dimenticato la poesia, estrae a un tratto un foglio con i suoi versi. Il testo senza un titolo mette in rapporto una giornata di pioggia con gli stati d’animo e con i pensieri di chi è costretto a vivere dietro le sbarre e si conclude con una preghiera elevata a Dio. L’autore, dopo averla letta, racconta di averla scritta in una giornata piovosa, guardando la finestra. Giuseppe, di solito silenzioso, dice che comunica tristezza e John fra il serio e il faceto soggiunge che rileva un talento, offrendo a Simone lo spunto per riprendere una sua frase (di John) colta per caso al termine del precedente incontro: “In carcere si deve diventare poeti anche se non lo si vuole”.
Poi è lo stesso Giovanni a leggere il resoconto, In margine al quale Luigi racconta di avere cominciato a scrivere da piccolo e dopo essersi preso una pausa, di avere ripreso a farlo in carcere.
Simone chiede allora: "Perché John non ha scritto la sua città invisibile?" (Vedi QUI) L’interpellato, chiamato in causa si giustifica con il fatto di essere rimasto senza aiutante e di non averne avuto tempo. Il suo aiutante, spiega, era stato trasferito dal sesto in un altro reparto, ma, per sua fortuna, era dovuto precipitosamente ritornare alla base, per sfuggire ai giustizieri della notte i quali avevano scoperto la sua famigerata provenienza.
Il racconto di John apre una discussione sul reparto protetti “sesto secondo di merda dove stanno gli infami, quelli che picchiano le donne, gli omosessuali i trans, i poliziotti, e altre categorie disprezzate” secondo la vulgata, accettata dagli altri abitanti di San Vittore.
Qualcuno solleva il problema del perché gli assassini e gli spacciatori siano ritenuti migliori, ma Simone incalza John: “Adesso che hai l’aiutante ci porti il tuo testo, basta che ci dai delle idee, poi lo scriviamo assieme. Lunedì veniamo apposta per la tua città”.
Poi lo stesso Simone legge un brano tratto da un racconto di Alexandre Dumas, intitolato
Il brigante siciliano (Pascal Bruno in francese): E’ stato scritto molto tempo prima delle città invisibili di Calvino, ma nelle prime pagine "c’è una digressione sui vari tipi di città, partendo dalla idea che il destino degli uomini sia condizionato dal luogo in cui nascono", precisa.
Il breve romanzo composto da Dumas nel 1838 parla di Pasquale Bruno, un leggendario bandito il quale aveva sfidato la contessa Gemma di Castelnuovo perché questa gli aveva impedito di sposare la sua cameriera, essendo figlio di un uomo colpevole di avere attentato alla vita di suo padre, il conte di Castelnuovo e di Bauso. Pasquale, ritenendosi vittima di un’ingiustizia, si dà alla macchia e con un gruppo di amici si ribella ai gendarmi di Castelnuovo. Quando però i suoi nemici lo minacciano di dare allefiamme Bauso, si consegna ai gendarmi e muore punito con l’impiccagione.
Lo scrittore nell’incipit paragona le vite delle città a quelle degli uomini e passa in rassegna i vari tipi di città, da quelle superbe che si ergono su un promontorio a quelle umili, situate nel fondovalle, da quelle riparate dalle colline dove abitano uomini senza passione e senza ambizione (le città che si nascondono) ai villaggi in riva al mare paragonabili ai nuovi ricchi, i cosiddetti parvenu, alle città pingui e prospere fin dalla nascita, e poi l’elenco continua con le città rivali.
Simone fa notare che si possono trarre degli spunti per le città invisibili e poi legge Alethea, la città invisibile, descritta da Azalen. Una città a pianta quadrata con gli abitanti disposti verticalmente su ogni lato, senza possibilità di comunicare tra di loro per paura di mettere a repentaglio certezze e credenze incrollabili.
Simone sollecita i partecipanti a esporre la loro opinione chiedendo se ravvisino aspetti del carcere. Renata risponde che vede il sesto secondo raffigurato come una casta a sé stante. Luigi nota che in carcere ci sono persone diverse tra loro ma costrette a ubbidire e a conformarsi a regole uguali per tutti.
Qualcuno nota che in carcere ci sono etnie diverse che formano gruppi omogenei e chiusi: italiani, sudamericani, rumeni, albanesi. Un partecipante inserisce il gruppo dei trans, e si innesta un piccolo battibecco sul chi è “poveretto” nella classificazione di genere.
Simone rimarca che nella città le persone sono incasellate in categorie, ci sono gli onesti che si costringono a essere tali, gli innocenti che si sentono perennemente vittime e hanno paura a fare il passo per diventare colpevoli, i tracotanti per i quali la vita è violenza e gli indecisi. La discussione si incentra sulla tendenza di ogni categoria a vedere il marcio o la malattia nell’altra categoria e di escluderli a priori dalla propria.
La faccia torva dell’agente, ricorda che il tempo è scaduto da un pezzo, ma Simone ribadisce che mancano venti minuti. Si parla liberamente, e qualche partecipante accenna al corso di teatro che ha riscosso un alto gradimento. Al termine dell’incontro ci si scambiano i saluti e gli arrivederci e si sciama nel corridoio.
John intrattenutosi con un detenuto che non partecipa al Libroforum racconta che per la prossima volta dovrà scrivere una città invisibile. C’è appena il tempo di osservare lo sguardo smarrito e sorpreso dell’interlocutore di John perché l’agente apre il pesante cancello e lo sbatte con un tonfo sordo alle spalle di Azalen e di Simone.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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