Incontro del 20 novembre 2014 Milano Casa circondariale San Vittore.
Vittime e carnefici, tutt’intorno stanno gli indifferenti.
Azalen Tomaselli,Giorgio Cesati, Leandro Gennari, Iginia Busisi, Simon Pietro De Domenico con le persone detenute.
Giovane con un montone - Caravaggio (1602) |
Adam parla della paura di andare in galera cancellata dall’esperienza diretta; ammette: “E’ brutto dirlo, io mi sono abituato, è più facile rientrare perché non mi fa più paura”. Filo gli replica che non si è mai certi di cosa possa accadere, in un carcere non protetto, in cui si affronta l’ignoto, San Vittore è un buon carcere.
Si parla della convivenza con i barboni e i senza tetto che d’inverno riempiono gli istituti penitenziari, per avere un letto e un pasto. Qualcuno accenna alle disposizioni di allontanamento da casa che impongono di vivere alla giornata, una vita priva di dignità.
La libertà non può essere ceduta, dice Giorgio, anche se ci sono gli Esaù che la svendono per un piatto di lenticchie. Con il reato di maltrattamenti domestici molti uomini entrano nelle maglie della giustizia, sostiene Gian, sottintendendo la natura culturale di alcune condotte prevaricanti, legate a comportamenti appresi nel proprio nucleo familiare e nel contesto di provenienza.
Azalen invita Giorgio a leggere: Dal carcere alla libertà, tratto da Vittime e carnefici, tutt’intorno stanno gli indifferenti, edizioni CdG.
Il carcere dovrebbe facilitare una maturazione grazie all’assunzione della colpa e al pentimento, la libertà è pratica di vita. L’espiazione non può essere la sopportazione di un male imposto, ma riconciliazione con se stessi e con gli altri.
Sono le considerazioni di un fine pena mai, riuscito a riscattarsi fino a diventare, in regime di semilibertà, tutor in una comunità di Pavia. E’ Vincenzo Andraous. Il brano pone molte domande e anima la discussione.
Andraous scrive tra l’altro: la anormalità del carcere, di chi si crede un mito, sta nel non avere mai chiesto aiuto agli altri. La difficoltà di ricorrere a qualcuno implica il riconoscimento di una mancanza o di una debolezza e è una conquista di maturità. Significa sconfiggere molti ostacoli: la paura di un rifiuto, l’orgoglio, una istintiva riluttanza, un blocco. Ma la normalità, prosegue Andraous, il tratto distintivo dell’essere sociale consiste nella capacità di farsi aiutare, quando se ne ha bisogno. Non si può essere liberi, se non si è nella condizione di fare un scelta e si è sopraffatti dal mito della forza e della violenza.
Un giovane partecipante soggiunge che il carcere non serve per punire, ma per rieducare “per aiutarci a riflettere su ciò che abbiamo fatto e che vogliamo fare” citando Dei delitti e delle pene. Per Giovanni a favorire un cambiamento, è l’importanza di fermarsi, sebbene imposta dalla restrizione della libertà; forse c’è un motivo, perché la vita fuori non permette di riflettere sul senso profondo delle proprie azioni.
Andraous cita Cechov “la vita è passata e non me ne sono accorto”, per mostrare che gli uomini sono portati a rimpiangere, a maledire, a agire come barbari che tentano di arrivare fino a Dio, mentre Dio è già tra di loro se non si ostinano a vivere la propria esistenza come una sfida da vincere a tutti i costi, calpestando chi cade affaticato accanto.
Leandro sottolinea l’importanza del pentimento per trovare un senso, mentre Simone trova uno spunto nel concetto di espiazione come conciliazione con se stessi.
Sulla stessa onda Filo dice: "posso trovare un rapporto con me stesso più vero, eliminando il superfluo per arrivare al nocciolo della questione, riscoprendo un io senza orpelli e fronzoli". Ma è il dilemma tra il dare e il ricevere aiuto a tenere banco catalizzando la discussione. Per Filo c’è un metro di scambio, una logica mercantile, mentre Adam accenna alle paranoie che la richiesta di aiuto suscita, anche Giorgio riconosce che è più facile aiutare che essere aiutati.
Adam racconta delle sue vite parallele, una regolare e una da delinquente per l’abuso di sostanze. "La mia cella si è rivelata utile. In carcere ho perso la ragazza, ma sono rinato. Sono in tempo". Parla dei bambini che vanno a trovare i genitori in carcere, e si sente fortunato per non avere dovuto affrontare una esperienza così dolorosa.
La sua testimonianza fa toccare con mano che anche la reclusione può essere trasformativa se permette di ritrovarsi al cospetto del proprio universo interiore, di rinunciare a vecchi convincimenti, e acceder a un coscienza più matura.
L’incontro volge al termine. L’argomento libertà si presta a molte interpretazioni ma forse un punto può ritenersi acquisito: la libertà è una dimensione interiore e richiede l’impegno di tutte le energie, di tutte le forze di cui disponiamo per essere conquistata. Come dice Andraous si può essere liberi nonostante il carcere.
* I nomi dei detenuti sono di fantasia
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